Autori/trici: Rachel New, Julian Savulescu, Nadira S. Faber
Traduzione di Carlo Tomasetto
Articolo originale: Cooperation in social dilemmas: How can psychology help to meet climate change goals?
Introduzione: il clima come bene comune
Cento novantacinque Paesi hanno finora sottoscritto gli Accordi di Parigi sul clima (Commissione Europea, 2015). L’obiettivo è quello di contenere il riscaldamento globale sotto i 2°C. Molti sono pessimisti sulla possibilità di raggiungere questo ambizioso obiettivo. La sfida dell’ambiente è un “problema di risorse globale” che richiede “cooperazione internazionale” (IPCC, 2014). Una gestione collettiva efficace delle risorse naturali condivise del nostro pianeta – come gli oceani, l’aria, le foreste e i combustibili fossili – può migliorare l’ambiente e ridurre il riscaldamento globale. Ma siamo capaci di mettere da parte i nostri interessi individuali di breve periodo, per stabilire obiettivi a lungo termine e lavorare insieme per gestire in modo efficace queste risorse? In questo lavoro ci focalizziamo su due processi descritti dalla ricerca sui dilemmi sociali relativi a risorse condivise, che possono, nelle giuste condizioni, essere applicati dagli amministratori pubblici per incrementare la cooperazione, a vantaggio degli interessi collettivi rispetto a quelli individuali: le norme sociali e le identità condivise.
I dilemmi sociali
Proviamo a mettere insieme le evidenze offerte dalla ricerca sperimentale sui dilemmi sociali con quelle della ricerca condotta sul campo su dilemmi ambientali nella vita reale. Due dilemmi – il dilemma sulle risorse pubbliche e il dilemma sui beni pubblici, sono utili per concettualizzare le sfide ambientali nella realtà. L’aria pulita è stata ad esempio descritta come un bene pubblico (Parks, Joireman, & Van Lange, 2013) perché le persone possono contribuire ad essa, ad esempio, producendo meno inquinanti oppure piantando nuove foreste. Ma è anche una risorsa comune della quale ci serviamo (e.g. Hardin, 1968; Van Lange, Joireman, Parks, & Van Dijk, 2013), perché noi riduciamo la sua quantità totale attraverso l’inquinamento. Dunque la ricerca su entrambi i dilemmi sociali sarà utile per comprendere il problema e identificare le strategie per incoraggiare comportamenti pro-ambientali.
Non siamo al 100% razionali
In passato si riteneva che il comportamento nei dilemmi sociali seguisse processi puramente razionali (come calcolare il rischio i guadagni e le perdite personali, e agire di conseguenza). Poi divenne chiaro che il contesto sociale ci espone a numerose fonti di influenza ed errori che un modello razionale di presa di decisione umana non è in grado di giustificare (vedi ad esempio Kahneman, 2011): spesso nei dilemmi sociali prendiamo decisioni cooperative più di quanto i modeli economici basati sull’assunto del puro interesse possano prevedere (Weber, Kopelman, & Messick, 2004). Queste influenze includono le norme sociali percepite riguardo ai comportamenti ambientali e i gruppi ai quali apparteniamo.
Le norme sociali
Siamo influenzati da ciò che percepiamo come comportamento normale
È importante distinguere tra due tipi di norme sociali relative al comportamento ambientale (Reynolds et al., 2015). Le norme descrittive ci dicono ciò che le persone fanno, ad esempio “molte persone riciclano” o “i miei vicini non consumano molta elettricità”. Le norme sociali ingiuntive (o prescrittive) ci dicono cosa dovremmo fare, come ad esempio “non è accettabile prendere troppo spesso l’aereo”. Le norme posso avere una profonda influenza: quando i comportamenti di riciclo divennero diffusi nel regno Unito, le persone iniziarono a considerarli come qualcosa che tutti fanno, e ciò creò una nuova norma (Rettie, Burchell, & Riley, 2012). Questa nuova norma, a sua volta, fa sì che ricicliamo di più (Barr, 2007), dando vita ad un circolo virtuoso.
Usare le opzioni di default per veicolare nuove norme
Quando i comportamenti non egoistici sono l’opzione di default in una certa situazione, le persone si comporteranno con più probabilità in modo non egoistico. Questo perché l’opzione di default indica ciò che la maggior parte delle persone fa (Everett, Caviola, Kahane, Savulescu, & Faber, 2015), cioè che molte persone riciclano e sono attente ai consumi di energia. Abbiamo visto di recente l’effetto di obbligare le persone a richiedere e pagare per avere i sacchetti di plastica quando fanno la spesa: adesso che i sacchetti non sono offerti in modo automatico, l’opzione di default è portarsi la propria borsa da casa. In Galles l’effetto è stato di ridurre del 79% il consumo di sacchetti in plastica in tre anni, con un evidente effetto positivo sull’ambiente (Defra, 2016). Lo stesso si potrebbe fare per le compensazioni delle emizzioni di CO2: potrebbe essere previsto un contributo automatico per ogni biglietto aereo acquistato, a meno che una persona decida di rifiutare. A titolo di esempio, il costo in più per un volo da Roma a Londra sarebbe di circa 6€ secondo un sito specializzato (https://co2.myclimate.org/en/flight_calculators/new).
Comunicare le norme nel contesto locale
Un semplice messaggio nella stanza di un hotel che dica “la maggior parte degli ospiti riutilizza gli asciugamani”, e che quindi faccia riferimento ad una norma, è più efficace rispetto a messaggi che semplicemente incoraggino o informino sulla possibilità di riutilizzarli (Goldstein, Cialdini, & Griskevicius, 2008). Ancora più efficace è dire “la maggior parte degli ospiti di questa stanza riutilizza gli asciugamani”, perché noi ci identifichiamo con quegli ospiti sulla base di un luogo molto preciso. Altri comportamenti eco-compatibili da parte degli ospiti potrebbero essere incoraggati nello stesso modo, come l’uso responsabile dell’acqua e dell’elettricità. Potremmo anche essere informati sui dati reali di utilizzo delle risorse nel corso dei soggiorni precedenti.
Spiegare quali sono e quali dovrebbero essere i comportamenti utili per l’ambiente
Un altro studio ha mostrato che quando i proprietari di casa sono informati di quale sia il consumo medio di energia nel vicinato, tendono ad avvicinare il loro consumo personale a quella norma (Schultz, Nolan, Cialdini, Goldstein, & Griskevicius, 2007). In qualche caso questo ha funzionato contro l’ambiente, quando persone fino a quel momento capaci di consumare poco hanno aggiustato verso l’alto i loro consumi. Tuttavia, aggiungendo semplicemente un messaggio di approvazione (come una emoticon con la faccina felice) quando il consumo era sotto la media, o di disapprovazione quando era sopra, questo risultato indesiderato è stato eliminato. Questo dimostra che una norma deve essere comunicata in modo che non sia solo descrittiva ma anche ingiuntiva, esplicitando se debba essere considerata giusta o sbagliata. Naturalmente non sarà utile pubblicizzare il comportamento ambientale medio della collettività se questo è dannoso per l’ambiente. Ma quando esistono dati di supporto, gli amministratori pubblici dovrebbero avvantaggiarsene, esplicitando l’approvazione o la disapprovazione di un particolare comportamento e comunicando chiaramente qual è la norma.
Dare la precedenza a considerazioni etiche anziché economiche
In uno studio di laboratorio, Pillutla e Chen (1999) hanno dimostrato che le persone agiscono in modo meno egoistico se una situazione di dilemma sociale è presentata come un’attività non economica (cioè contribuire a un evento sociale anziché investire in un fondo finanziario). Il contesto economico sembra attivare la norma implicita che agire in modo competitivo è appropriato in quel setting, mentre il contesto non economico genera norme cooperative. In altre parole, il contesto sociale può attivare comportamenti diversi. Le norme relative al come ci si comporta nelle situazioni di dilemma sociale possono anche essere veicolate, implicitamente, attraverso l’uso di sanzioni. In uno studio di laboratorio su un dilemma sociale relativo all’inquinamento, Tenbrunsel e Messick (1999) hanno dimostrato che le sanzioni facevano sì che il dilemma venisse considerato come una decisione economica e non su un problema etico, il che riduceva i comportamenti cooperativi. Gli amministratori pubblici dovrebbero quindi enfatizzare gli aspetti etici più che i vantaggi economici dei comportamenti eco-compatibili, per evitare che nella nostra mente le decisioni economiche siano valutate in un’ottica competitiva anziché cooperativa.
Non c’è bisogno di inventare norme non veritiere per il bene dell’ambiente
I dati reali sul consumo medio di risorse potrebbero non essere di aiuto per raggiungere gli obiettivi sul cambiamento climatico. Anche se così fosse, noi non riteniamo in alcun modo giustificato manipolare i dati reali allo scopo di creare una norma sociale fittizia che promuova comportamenti più utili per l’ambiente. Questo non sarebbe corretto né dal punto di vista deontologico né dal punto di vista delle conseguenze. Rispetto alla deontologia, noi semplicemente non dobbiamo mentire. Rispetto alle conseguenze, correremmo il rischio di ridurre drammaticamente la fiducia nei confronti delle autorità e verso le norme che queste comunicano, e ciò sarebbe del tutto controproducente.
I gruppi con i quali ci identifichiamo
Enfatizzare le appartenenze di gruppo
La teoria dell’identità sociale (Tajfel & Turner, 1999) sostiene che noi non ci identifichiamo e non agiamo solo in quanto individui, ma anche come mebri di gruppi sociali (ingroup) – come le nostre comunità locali. Mettiamo in atto comportamenti che avvantaggiano i nostri ingroup e siamo motivati a ricevere approvazione dagli altri membri dei gruppi di cui facciamo parte (Faber, Savulescu, & Van Lange, 2016). Mettere l’accento su un’identità di gruppo condivisa può incrementare la cooperazione in situazioni di dilemmi sociali in laboratorio (Brewer & Kramer, 1986). L’identità condivisa può essere attivata rendendo saliente un “destino comune” condiviso con gli altri membri del gruppo: quanta parte di risorse comuni i partecipanti consumano (di solito denaro negli esperimenti di laboratorio) dipende da ciò che fanno gli altri, e quindi tutti i partecipanti sono interdipendenti tra loro. Obradovich e Guenther (2016) hanno riscontrato che enfatizzare la responsabilità collettiva anziché quella individuale aumentava del 50% le donazioni a favore del contrasto al cambiamento climatico nella popolazione generale. La stessa enfasi sui comportamenti collettivi dovrebbe essere presente in tutta la comunicazione pubblica sui temi ambientali.
Abbiamo identità in competizione tra loro
Tutti noi apparteniamo a molteplici gruppi, dal locale al globale: una famiglia, una città, una nazione, e il pianeta. Ma questi gruppi possono avere obiettivi o valori in conflitto tra loro: ad esempio, il bisogno di procurare il sostentamento per la propria famiglia potrebbe impoverire una risorsa condivisa a livello locale, con un effetto negativo sulla comunità. La nostra identità locale (cioè l’identificazione con una comunità specifica) è poi subordinata a un’identità sovra-ordinata (l’identificazione con tutti coloro che vivono sul pianeta). I bisogni di tutti questi gruppi situati a livelli diversi (individuale, locale, nazionale, globale) crea una situazione molto complessa da gestire per gli amministratori pubblici. Tuttavia, possiamo mostrare diversi modi per sostenere molteplici livelli di identità con conseguenze positive per la cooperazione (Dovidio et al., 2012).
Le identità locali ci motivano
Van Vugt (2001) dimostrò che le persone molto identificate con la comunità locale non avevano bisogno di incentivi per essere persuase a consumare meno acqua. Altri studi dimostrano che noi crediamo che gli altri membri degli ingroup condividano con noi valori positivi come il senso di equità (Hogg & Reid, 2006), e questo ci spinge a comportarci a nostra volta in modo più equo (De Kwaadsteniet & Van Dijk, 2012). Per questo il governo e le imprese dovrebbero rafforzare l’identità locale come strategia della loro comunicazione con il pubblico, ad esempio supportando progetti e eventi nella comunità.
Enfatizzare la nostra identità globale sovra-ordinata
Tuttavia un’enfasi sull’appartenenza a gruppi locali, pur avendo i benefici descritti sopra, focalizza l’attenzione sulle differenze tra i gruppi, e questo può avere dei costi. Ad esempio perché nelle situazioni di dilemma sociale in laboratorio sviluppiamo più fiducia e siamo più cooperativi verso gli ingroup che verso gli outgroup (Brewer, 2008). Un’identità di livello superiore, globale, come cittadini del pianeta – nella misura in cui può essere realistico ottenerla – può invece essere necessaria per motivare le persone a includere le future generazioni e i cittadini di paesi diversi nella loor identità di gruppo (Van Vugt, 2009). Un’identità sovra-ordinata riduce i bias e migliora la disponibilità ad aiutare i membri di gruppi diversi inclusi all’interno di una categoria sovra-ordinata (Dovidio et al., 1997; Levine, Prosser, Evans, & Reicher, 2005).
Diversi studi dimostrano gli effetti positivi di un’identità sovra-ordinata e globale sull’ambiente. In studi di laboratorio Kramer e Brewer (1984) trovarono che un’identità sovra-ordinata favoriva la cooperazione quando una risorsa pubblica veniva consumata, mentre Buchan et al. (2011) dimostrarono che i partecipanti con una più forte identità globale contribuivano di più a un bene pubblico quando venivano informati che la loro decisione avrebbe avuto effetti su persone in altre parti del mondo. Coloro che avevano avevano un più forte senso di interconnessione globale provavano più empatia per gli outgroup, davano valore alla sostenibilità ambientale, e sentivano la responsabilità di dover rendere il mondo un posto migliore (Reysen & Katzarska-Miller, 2013). I docuemnti pubblici sull’ambiente dovrebbero evidenziare le nostre interconnessioni, atraverso immagini e parole (Corner et al., 2015).
Identificarsi con l’intero pianeta può essere difficile. Brewer e Kramer (1986) trovarono che la dimensione dei gruppi non aveva effetto sulla cooperazione, ma Kerr (1989) dimostrò invece che gruppi più ampi riducono l’auto-efficacia. Tuttavia, aumentare il nostro senso di interconnessione – come abbiamo raccomandato di fare – migliora il senso di auto-efficacia, che a sua volta facilita comportamenti socialmente responsabili (Cojuharenco, 2016). Per promuovere il senso di auto-efficacia, i governi locali dovrebbero comunicare quanto le azioni locali contribuiscono alle risorse globali.
Risolvere i conflitti tra bisogni locali e globali
Un esempio di conflitto tra identità locali e globali è il cosiddetto fenomeno NIMBY (Not In My BackYard, non nel mio cortile). Succede ad esempio quando una comunità locale, che in linea di principio è a favore della tutela ambientale, si oppone all’insediamento di impianti eolici per produrre energia elettrica. Questo fenomeno è stato spiegato come una minaccia all’identità basata sul luogo di vita, minaccia che può essere ridotta attraverso una comunicazione migliore da parte degli sviluppatori. Questi dovrebbero focalizzarsi sul livello dell’identità sociale e ridurre la percezione che il gruppo sia minacciato da cambiamenti all’ambiente fisico locale (Devine-Wright, 2009). Enfatizzare i benefici che la produzione di energia elettrica pulita potrebbe portare avrebbe infatti un effetto positivo sull’auto-stima del gruppo.
Incoraggiare una competizione amichevole tra gruppi locali
Il conflitto tra gruppi locali può essere ridotto se vengono simultaneamente rese salienti sia le identità locali sia quelle sovra-ordinate (Hornsey & Hogg, 2000), senza però cancellare le differenze tra i gruppi al livello locale. Parks et al. (2013) e Van Vugt (2009) sostengono che una competizione intergruppi amichevole può essere usata a fin di bene, come ad esempio una competizione per un premio per la “città pulita”. Amare il proprio ingroup non significa necessariamente odiare l’outgroup (Brewer, 1999): la competizione non deve essere necessariamente ostile, specialmente quando ci sono obiettivi comuni. Questi sforzi potrebbero essere sostenuti da imprese locali come sponsor. Gli amministratori pubblici dovrebbero incoraggiare un senso di orgoglio nella comunità locale, e fornire feedback pubblici dettagliati alle comunità sui loro progressi verso una gestione efficiente delle risorse condivise, come ad esempio sul consumo collettivo di acqua, uso dei trasporti pubblici e della raccolta differenziata, anche in confronto ad altre comunità locali. Come vi sentireste se vi dicessero che a livello nazionale l’87% della carta viene riciclata, ma nella vostra comunità locale la percentuale è solo del 60%. Probabilmente sareste motivati dalla vostra identità a livello della comunità locale - e da una sana e spensierata competitività – a fare di meglio.
Considerazioni etiche
Come abbiamo mostrato fin qui, i processi psicologici possono essere sfruttati per influenzare il comportamento. Tuttavia, è importante ricordare che “possono” non significa “devono”. La nostra scelta di influenzare i comportamenti delle persone deve essere etica. C’è sempre il rischio che la conoscenza psicologica sia usata in modo sbagliato, e la storia lo dimostra.
Allora quando è etico usare la ricerca psicologica per influenzare il comportamento? Prima di tutto, quando è etico l’obiettivo, cioè ha un valore di per sé. Ridurre il cambiamento climatico è un obiettivo considerato ragionevole dalla grande maggioranza degli scienziati (il 97% secondo una stima di Doran e Zimmerman, 2009). In secondo luogo, il costo per raggiungere l’obiettivo deve essere ragionevole (Savulescu & Hope, 2010). Le stime dei costi e dei benefici, e della relativa probabilità, dovrebbero essere basate su revisioni sistematiche delle evidenze in letteratura, con unlteriori ricerche (inclusa la stima di modelli) quando la base delle evidenze non è sufficiente rispetto alla gravità dei benefici e dei danni attesi. L’interpretazione più semplice di “ragionevoli” è che i costi dell’intervento siano minimi. Uno standard superiore sarebbe che i costi siano proporzionali ai benefici e siano stati minimizzati. I costi includono la limitazione di libertà, la riduzione dell’autonomia decisionale, l’abbassamento del livello di benessere, e l’aumento di ineguaglianze e ingiustizie. Una politica che implica costi ragionevoli potrebbe essere quella di stabilire la compensazione delle emissioni di CO2 come opzione di default al momento dell’acquisto di un volo. Terzo, dovrebbe esserci trasparenza nella valutazione di costi e benefici, ad esempio attraverso l’accesso libero ai dati utilizzati per stabilire delle norme. Quarto, ci deve essere un monitoraggio continuo degli effetti, insieme alla capacità di rivedere le scelte effettuate attraverso forme di partecipazione democratica. Questo potrebbe ad esempio ridurre i fenomeni NIMBY descritti sopra. Feedback regolari alla popolazione sugli effetti di nuove regolamentazioni, ad esempio sul riciclo e sui sacchetti in plastica, ne sono buoni esempi. Tutte queste condizioni possono e devono essere soddisfatte quando si utilizza la psicologia per cambiare i comportamenti delle persone nel contesto del cambiamento climatico.
Conclusioni
Le evidenze dalle ricerche sui dilemmi sociali suggeriscono che ci sono circostanze nelle quali noi esseri umani, in quanto esseri sociali, ci comportiamo in modo non egoistico. Molto si può fare per affrontare il problema del cambiamento climatico. Amministratori pubblici e responsabili dell’impresa dovrebbero sfruttare il potenziale delle norme sociali positive, e ricordare che noi rispondiamo al nostro senso di appartenenza ai gruppi a diversi livelli. I processi psicologici – quando accompagnati da soluzioni strutturali e sono implementati in maniera etica – possono aiutarci a prevenire ciò che presto potrebbe diventare un processo irreversibile di distruzione del nostro pianeta e delle sue risorse.
Ringraziamenti
Il lavoro è stato reso possibile da un finanziamento della Oxford Martin School [Oxford Martin Programme on Resource Stewardship] a favore di N. S. F. and J. S.
Glossario
Cooperazione: Nel contesto di un dilemma sociale (vedi oltre), un comportamento cooperativo va nella direzione dell’interesse collettivo, anziché di quello individuale. Questo può implicare la rinuncia a un beneficio immediato per sé in favore della conservazione di una risorsa condivisa. Il comportamento alternativo è la competizione, nella quale l’individuo fa tutto ciò che è necessario per massimizzare il proprio utile personale.
Dilemma sociali: Situazioni nelle quali un interesse personale immediato è in conflitto con un interesse collettivo a lungo termine.
Norme sociali: Credenze condivise a livello di gruppo, di solito non scritte, rispetto a ciò che i membri del gruppo fanno oppure dovrebbero fare in un determinato contesto.
Dilemma sui beni pubblici: Mentre i dilemmi comuni hanno a che fare con il "prendere" da una risorsa, i dilemmi sui beni pubblici hanno a che fare con il "dare". Esempi ambientali includono: aumentare le tasse per migliorare il sistema locale di smaltimento dell'immondizia, o dare contributi volontari o dedicare il proprio tempo per la conservazione delle specie selvatiche locali. Se un individuo non contribuisce, può comunque indebitamente beneficiare del bene pubblico in questione, ma se nessuno contribuisce, la risorsa non verrà garantita o smetterà di prosperare.
Dilemma sulle risorse comuni: Una risorsa comune è un bene condiviso da una comunità, come una riserva natural, una foresta o l’aria. Una situazione di dilemma nell’uso di risorse pubbliche può essere simulate in laboratorio. Di solito la risorsa comune utilizzata in questi esperimenti è del denaro. Se voi foste i partecipanti, vi verrebbe detto a quanto ammonta la risorsa comune e quanti sono i potenziali utilizzatori con cui condividerla. A quel punto verrebbe chiesto di indicare a ciascun partecipante quanta parte ciascuno potrebbe prenderne senza consumare interamente la risorsa. In questo modo vi trovereste a decidere se cooperare, oppure se prenderne per voi più di quanto ne spetti a ciascuno, e la vostra decisione sarà basata in parte sulle vostre aspettative rispetto alla volontà degli altri partecipanti di cooperare.
Teoria dell’Identità Sociale (Social Identity Theory): Modello teorico secondo il quale le persone hanno bisogno di formarsi e mantenere un’identità positive, e questo richiede loro di poter attribuire ai gruppi dei quali fanno parte caratteristiche positive, che rendano i propri gruppi comparativamente più valorizzati rispetto agli altri gruppi (Turner & Reynolds, 2003).
Identità superordinata: Un’identità sociale che include diversi gruppi al proprio interno, come ad esempio un’identità nazionale che include tutte le identità regionali (come ad esempio le identità di “piemontesi” o “siciliani” all’interno dell’identità nazionale di “Italiani”). Ciascuno di noi è in grado di identificarsi simultaneamente nei gruppi sovra- e sotto-ordinati.
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