Superare le avversità preadottive: l’importanza di una buona genitorialità per l’adattamento positivo dei minori adottati

La sfida dell’adozione tra avversità preadottive e genitorialità

La pratica dell’adozione è ormai diffusamente considerata come un ‘intervento riparativo’ (Van IJzendoorn & Juffer, 2006, p. 1229), vale a dire un’esperienza che permette ai minori adottati, attraverso le cure ricevute nella famiglia adottiva, di intraprendere percorsi di recupero dalle avversità pre-adottive (e.g., Van der Voort et al., 2014). Tuttavia, la letteratura scientifica rivela, a tal proposito, risultati incerti. In taluni casi le ricerche testimoniano un buon livello di adattamento dei minori adottati, sul piano emotivo e comportamentale (e.g., Altinoglu-Dikmeer et al., 2014). In altri, gli studi evidenziano che i minori adottati sembrano manifestare maggiori livelli di problemi mentali, emotivi e comportamentali rispetto ai coetanei che vivono in famiglie biologiche (e.g., Askeland et al., 2017; Brown et al., 2014). Tra i fattori che contribuiscono a spiegare tali inconsistenze vanno annoverati innanzitutto quelli di natura metodologica: le differenti caratteristiche dei campioni coinvolti nelle ricerche, per esempio rispetto all’età dei minori al momento dell’adozione (Julian, 2013) e alle diverse forme di adozione prese in considerazione (internazionale, nazionale o entrambe); i diversi informatori coinvolti negli studi, tra cui genitori, insegnanti, operatori e minori stessi, che non sempre producono valutazioni coerenti tra loro; il diverso modo di intendere e misurare l’adattamento dei minori, che produce prevedibili incongruenze negli esiti rilevati. L’adattamento, infatti, può essere misurato in termini emotivi, cognitivi, sociali o comportamentali e con metodi disomogenei, in funzione dei diversi approcci teorici utilizzati dagli/lle studiosi/e, dei diversi strumenti di valutazione utilizzabili in relazione all’età delle persone adottate e delle caratteristiche degli informatori coinvolti negli studi.
 
Sebbene gli/le studiosi/e dell’adozione si interessino prevalentemente dell’adattamento dei minori adottati, su diversi piani, in letteratura si possono individuare diversi trend di ricerca: il primo si focalizza sulla comparazione del livello di adattamento di minori adottati e non adottati (approccio trasversale); il secondo esamina l’efficacia dell’adozione nel promuovere l’adattamento e il recupero delle carenze dei minori adottati (approccio longitudinale); il terzo si concentra sull’analisi dei processi e dei fattori contestuali e psico-sociali che contribuiscono a spiegare l’eterogeneità dell’adattamento dei minori adottati (Palacios & Brodzinsky, 2010). Mentre gli studi che seguono il primo approccio si limitano a comparare gli esiti di adattamento dei bambini e delle bambine adottati/e con quelli di coetanei cresciuti in famiglie biologiche o in istituti di accoglienza (e.g., Behle & Pinquart, 2016), le ricerche focalizzate sui processi che spiegano l’adattamento cercano di considerare l’eterogeneità delle esperienze vissute dai minori in adozione. In particolare, questo filone di studi tenta di valutare in che modo la storia preadottiva, le esperienze vissute nella famiglia adottiva e gli interventi messi in atto dai servizi s’intrecciano nell’influenzare l’adattamento dei minori adottati, su diversi piani (Paine et al., 2021; Palacios et al., 2019; Ranieri et al., 2021). Tuttavia, sebbene la qualità delle cure ricevute nei paesi di origine e il funzionamento dei servizi post-adottivi presenti nei paesi di accoglienza siano fattori che incidono sull’adattamento delle persone adottate, non sempre queste variabili sono considerate negli studi. Piuttosto, la letteratura si è concentrata maggiormente sull’influenza delle avversità sperimentate nel periodo preadottivo e sulla qualità della genitorialità nella famiglia adottiva (Mohanty et al., 2019; Santos-Nunes et al., 2018). A tal proposito, mentre gli studi iniziali in questo campo si sono focalizzati sulle conseguenze di singole avversità preadottive (Grotevant et al., 2006), per esempio esaminando l’effetto di specifiche esperienze traumatiche, la letteratura più recente suggerisce di valutare l’impatto cumulativo delle avversità preadottive, analizzando sia i fattori di rischio del contesto socio-ambientale (per esempio, deprivazione sociale dell’ambiente, episodi di maltrattamento), sia le caratteristiche individuali del minore che possono rappresentare una criticità per il suo adattamento (per esempio, la presenza di ritardi nello sviluppo). Gli studi hanno messo in luce, nello specifico, che al crescere della concomitanza di diverse avversità preadottive decresce il livello di adattamento dei minori adottati, i quali possono mostrare problemi emotivi e di condotta, difficoltà sociali con i pari e/o disordini relativi all’attenzione e all’iperattività, con ripercussioni che tendono a estendersi nelle fasi più avanzate del ciclo di vita (Barroso et al., 2017; Blake et al., 2021; Neil et al., 2020). D’altro canto, la ricerca contemporanea che si è focalizzata sulle variabili familiari come fattori di protezione nel percorso adottivo ha sottolineato il ruolo di una buona genitorialità come potenziale fattore in grado di smorzare l’impatto negativo delle avversità preadottive sugli esiti di adattamento dei/delle minori in adozione (Canzi et al., 2019; Hornfeck et al., 2019;  Santos-Nunes et al., 2018). In particolare, la letteratura ha evidenziato l’importanza del cosiddetto parenting positivo, definibile come ‘il comportamento dei genitori che assicura il soddisfacimento dell'interesse superiore del/la bambino/a, che sia nutriente, responsabilizzante e non violento, che fornisca riconoscimento e guida, e che implichi la definizione di confini che consentano il pieno sviluppo del/la bambino/a’ (Council of Europe, 2006).
Sul piano empirico, gli studiosi hanno considerato il parenting positivo da più punti di vista, utilizzando diversi indicatori per misurare l’effetto del parenting degli individui adottanti sull’adattamento dei/lle minori adottati/e. Alcuni autori, per esempio, hanno esplorato la  disponibilità emotiva del caregiver ed esaminato l’influenza della sensibilità genitoriale - intesa come la capacità del caregiver di interpretare correttamente i segnali del/la bambino/a e rispondervi contingentemente e adeguatamente - sui percorsi di sviluppo delle persone adottate (e.g., Barone et al., 2019; Garvin et al., 2012). Altri studiosi hanno messo in luce l’importanza di una buona relazione genitore-bambino per l’adattamento comportamentale dei minori adottati e si sono concentrati sul calore dei genitori adottivi come fattore capace di compensare gli effetti negativi delle avversità preadottive (e.g., Anthony et al., 2019; Kriebel & Wentzel, 2011). Altri ancora hanno esplorato la dimensione cognitiva della genitorialità, valutando l’impatto dell’autoefficacia genitoriale sull’adattamento comportamentale di bambini e bambine adottati/e (Finet et al., 2020). Le differenze nel modo di operazionalizzare il parenting positivo, che rispecchiano sia le fasi evolutive dei minori sia gli approcci teorici degli studiosi, si ripercuotono nei risultati eterogenei riportati in letteratura.

 

Le nostre ricerche

Per spiegare come mai, seppure in presenza di esperienze avverse, alcune persone che vengono adottate raggiungano migliori livelli di adattamento rispetto ad altri coetanei con esperienze di vita simili (Finet et al., 2020), il nostro gruppo di ricerca ha preferito impiegare, negli studi sull’adozione, una prospettiva ecologica, allo scopo di esaminare il complesso intreccio tra fattori di rischio a cui i minori sono esposti nel periodo  preadottivo e specifici fattori di protezione che caratterizzano l’ambiente post-adottivo. Si è cercato, cioè, di valutare in che modo la qualità del parenting possa influenzare l’impatto delle avversità precoci vissute dal minore sul suo successivo adattamento emotivo e comportamentale (Balenzano et al., 2021). In linea con la teoria dell’accettazione/rifiuto genitoriale (Rohner et al., 2012), abbiamo concettualizzato il parenting come un costrutto unidimensionale, che va dall’accettazione al rifiuto genitoriale; il parenting positivo è stato, quindi, valutato in termini di accettazione genitoriale, misurabile come l’attitudine del genitore a mostrare calore, affetto, cura, sostegno e amore nella relazione con il/la bambino/a. Inoltre, considerando che l’adattamento è maggiormente influenzato dalla concomitanza di avversità preadottive (Jiménez-Morago et al., 2015), per valutare l’impatto della storia preadottiva sull’adattamento è stato costruito un indice di rischio cumulato, che tiene conto sia delle avversità vissute nel contesto socio-ambientale preadottivo sia delle caratteristiche individuali del/la bambino/a. In particolare, in un primo studio effettuato su un campione di bambini/e e adolescenti in adozione internazionale (Balenzano et al., 2021), abbiamo misurato l’impatto delle avversità preadottive sull’adattamento dei minori adottati e il contributo del parenting dei genitori adottivi, ipotizzando che l’interazione delle persone adottanti con minori che hanno vissuto maggiori avversità preadottive possa influenzare negativamente la qualità della genitorialità che, a sua volta, impatta sull’adattamento del minore (Brodzinsky & Pinderhughes, 2005). I risultati dello studio confermano che le avversità preadottive influenzano l’adattamento dei/lle ragazzi/e, sia in modo diretto, sia attraverso la loro influenza negativa sulle competenze di parenting delle madri. Tali evidenze suggeriscono che bambini/e con maggiori problematiche intaccano le abilità genitoriali (Crnic & Low, 2002; Patterson & Fisher, 2002) e che tale limitazione, a sua volta, esacerbi l’impatto negativo delle esperienze preadottive, ovvero influenzi negativamente l’adattamento dei/lle ragazzi/e sul piano emotivo e comportamentale. Un secondo studio (Balenzano et al., in preparazione) ha esaminato l’influenza del parenting positivo su diverse variabili di outcome, nell’idea che la riuscita dell’adozione non possa essere misurata facendo affidamento su un solo indicatore, ma che venga stimata in modo più attendibile prendendo in considerazione più esiti. I risultati mostrano che l’influenza della genitorialità positiva sul percorso di crescita dei/lle ragazzi/e adottati/e cambia a seconda delle variabili esplorate; più specificamente, essa appare più rilevante quando gli esiti riguardano aspetti socio-emotivi e comportamentali del percorso di crescita dei/lle ragazzi/e, mentre si rivela meno significativa quando si esaminano aspetti di area cognitiva (ad esempio, funzionamento scolastico e apprendimento). Considerati nel loro insieme, le evidenze degli studi presentati mettono inluce il ruolo cruciale che i genitori adottivi rivestono nel percorso di vita dei/lle minori adottati/e e confermano come l’impatto delle avversità preadottive sull’adattamento dei/lle minori possa essere mitigato da esperienze relazionali positive vissute nell’interazione con le persone adottanti. I nostri risultati sono in linea con numerosi studi secondo i quali il parenting positivo sembra rappresentare uno dei più significativi predittori del benessere del minore (Masten, 2001) e, in particolare, del livello di adattamento dei/lle minori adottati/e (Canzi et al., 2019). Tuttavia, future ricerche potrebbero esaminare il ruolo di altre variabili del contesto familiare che possono influenzare l’adattamento dei/lle minori adottati/e, per esempio la comunicazione sull’adozione, la coesione familiare, lo stress genitoriale, la conflittualità intra-familiare, ecc...

Conclusioni e raccomandazioni operative

Il presente lavoro, alla luce delle linee di ricerca più avanzate nell’ambito dei percorsi adottivi e tenuto conto dei risultati ottenuti dagli studi da noi condotti, mette in evidenza due aspetti fondamentali che i/le professionisti/e che lavorano nel campo dell’adozione dovrebbero tenere molto presenti. Il primo riguarda la formazione degli aspiranti genitori adottivi: dopo un attento processo di valutazione psico-sociale (che gli operatori dei servizi preposti dovrebbero compiere sulla base di indicatori il più possibile oggettivi delle competenze genitoriali e della qualità dell’ambiente sociale in cui il minore verrà inserito), le coppie andrebbero adeguatamente formate per consentire loro di affrontare le fasi successive del percorso adottivo. Concretamente, ciò vuol dire che l’attribuzione di idoneità alla coppia andrebbe considerata come una condizione necessaria, ma non sufficiente, per garantire un buon percorso di recupero per i/le minori adottati/e; tale risultato, infatti, potrà essere raggiunto assicurando alle coppie adottive una formazione specialistica, erogata da professionisti/e esperti/e, in grado di promuovere le capacità di parenting positivo. Il secondo aspetto evidenzia la necessità di garantire alle coppie un supporto e un accompagnamento post-adottivi. Immaginando l’adozione come punto di partenza piuttosto che come obiettivo finale del percorso, alla famiglia che si forma con l’arrivo del/la bambino/a in adozione va garantita un’attenzione mirata, prevedendo percorsi specifici di sostegno alla genitorialità adottiva, tesi a rafforzare le competenze genitoriali soprattutto nei casi in cui il/la bambino/a abbinato/a presenti particolari criticità (Canzi et al., 2017), e finalizzati ad accompagnare la famiglia adottiva soprattutto nelle prime fasi di formazione del legame e delle relazioni. In tal senso, studi recenti hanno comprovato l’efficacia di un adattamento dell’intervento basato sulla tecnica del video‐feedback del Centro Studi per la Famiglia di Leiden (VIPP‐FC/A) nel promuovere il parenting positivo nelle famiglie adottive (Barone et al., 2018). Se, come mette in luce la ricerca, una buona genitorialità migliora l’adattamento delle persone adottate, usare programmi efficaci per promuovere buone competenze genitoriali e, a sua volta, la qualità delle relazioni genitori-figli appare imprescindibile; al tempo stesso, gli interventi diretti a rafforzare le competenze di parenting, sia prima dell’abbinamento che dopo la formazione del   nucleo adottivo, appaiono di estrema importanza per migliorare l’efficacia dell’adozione, e per far sì che essa costituisca a tutti gli effetti un intervento riparativo.
 

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