All’inizio dell’emergenza sanitaria da COVID-19, Richard Horton, direttore della prestigiosa rivista medica The Lancet, ha affermato che la crisi sanitaria causata dal virus SARS-CoV-2 non sarebbe una pandemia, ma una sindemia (Horton, 2020). Il termine indica una situazione caratterizzata dalla presenza di due o più malattie o agenti patogeni in grado di interagire negativamente fra loro esacerbando l’uno la prognosi dell’altro.

La pandemia COVID-19 ha posto la comunità internazionale di fronte a una colossale sfida non solo sanitaria, ma anche economica, psicologica e sociale. Nella gestione della pandemia e salvaguardia della salute pubblica, comunicare in modo efficace si è rivelato tanto cruciale quanto complesso.Come noto in letteratura, la comunicazione del rischio in momenti di emergenza sanitaria si configura come fondamentale strumento di prevenzione, in grado di promuovere comportamenti salubri e salvare vite umane.

Un’ampia letteratura scientifica ha dimostrato che eccessive disuguaglianze di reddito e ricchezza, sono associate a peggiori indicatori di benessere e salute e ad una moltitudine di problemi di tipo psicosociale, economico e sanitario (Wilkinson & Pickett, 2009). Attualmente la disuguaglianza ha raggiunto livelli estremamente perniciosi a causa dei processi di neoliberalizzazione e globalizzazione del mercato iniziati alla fine degli anni 70.

In questi mesi dominati da COVID-19 e dal distanziamento sociale, ci siamo dovuti presto abituare a lavorare comunicando solo via videoconferenza. La tecnologia è buona e, per la maggior parte di noi, funziona meglio di quanto ci saremmo aspettati. Questo ci ha dato la falsa impressione di poter essere efficaci tanto quanto lo siamo di persona. Ma l'uso forzato delle videoconferenze inibisce quella che è forse la parte più importante dell'interazione umana: la comunicazione emotiva.

L’emergenza sanitaria e le relative misure di sicurezza stanno mettendo duramente alla prova l’equilibrio psicologico degli italiani e ciò può comportare forme di disagio che spaziano dalla psicopatologia a crisi nei rapporti interpersonali. 

Tra le insorgenze psicopatologiche più comuni assistiamo ad attacchi di panico scambiati per crisi respiratorie, forme fobiche – ossessive sul tema contagio con compulsioni alla pulizia, depressioni, ansia generalizzata,  sintomi post – traumatici. 

In questi giorni  molti italiani si trovano a gestire tempi vuoti e solitudine, ma paradossalmente nello stesso tempo una buona fetta di persone si trovano nel perimetro stretto del loro appartamento di città a condividere spazi e tempi con datore di lavoro, coniuge e figli. 

E in questa situazione il senso di mancanza d’aria che alcune e alcuni potrebbero avvertire non deriva dal contagio avvenuto dal virus, ma da quella che io chiamerei un fenomeno di compressione identitaria. 

Stamattina, come sto facendo da un po’ di tempo, ho fatto la mia lezione virtuale di Psicologia sociale per gli studenti del primo anno di Scienze della Comunicazione. Spiegavo il modello euristico-sistematico (Chaiken 1980) che suggerisce che in un mondo denso di informazioni, molte più di quante ciascuno di noi possa prendere in considerazione, in alcune condizioni attiviamo delle scorciatoie di pensiero, le cosiddette euristiche.

In questi giorni complessi di quarantena, spesso abbiamo visto scorrere nei media italiani immagini di persone che fanno jogging o che affollano i parchi nonostante le indicazioni di restare a casa. Abbiamo bene in mente le immagini delle persone meridionali nelle stazioni ferroviarie di Milano che si sono riversate in massa nelle regioni del sud per raggiungere la propria famiglia. La descrizione mediatica colma di disapprovazione, così come la reazione ridicolizzante e sprezzante che ne è seguita, è altrettanto nota.

In questo periodo la maggior parte delle persone in Italia sta cercando, con notevoli sforzi, di attenersi alle indicazioni fornite dal governo per il contenimento dell’epidemia di corona virus. Si sono però riscontrate numerose trasgressioni da parte di singoli o gruppi che, per ragioni più o meno comprensibili, hanno ignorato bellamente  queste indicazioni.