L’inizio del Ventunesimo secolo è stato caratterizzato da una crescente attenzione verso la diffusione delle molestie e degli abusi sessuali, soprattutto verso le donne, e dai tentativi di combattere questi fenomeni (Eurobarometer, 2016). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Who, 2013) ha evidenziato che, a livello mondiale, circa il 35% delle donne ha fatto esperienza di violenza fisica e/o sessuale da parte di uomini con cui, in molti casi, avevano una relazione intima. Dati simili sono stati riportati dalla European Union Agency For Fundamental Rights (2014), secondo cui, in Europa, una donna su tre ha subìto una violenza fisica o sessuale dopo i 15 anni, mentre una su due ha subito molestie sessuali. Focalizzando l’attenzione sulla situazione italiana, secondo una indagine ISTAT (2015) il 31.5% delle donne tra 16 e 70 anni ha subìto, nel corso della propria vita, una forma di violenza fisica o sessuale, il 23.3% ha subìto violenza psicologica o economica, il 16.1% è stata oggetto di stalking. Sempre secondo l’ISTAT, il 43.6% delle donne tra i 14 e i 65 anni ha subìto qualche forma di molestia sessuale. Anche gli uomini, naturalmente, possono essere vittime di molestie, sebbene questo avvenga in misura minore (in Italia, il 18.8% riporta almeno un’esperienza di molestie; ISTAT, 2015).
La consapevolezza della pervasività di questo problema è cresciuta anche grazie a movimenti quali il #MeToo, una campagna nata sui social media poco più di due anni fa e finalizzata alla condivisione di esperienze di molestie e di violenza sessuale di genere. Sebbene la campagna #MeToo abbia avuto una diffusione rapida in tutto il mondo (si stima che l’hashtag sia stato usato da milioni di persone in almeno 85 paesi, inclusi paesi arabi e mediorientali; MeToo rising, 2019), il movimento è stato spesso accolto con scetticismo e addirittura fatto oggetto di forti critiche, da parte di giornalisti, politici e personaggi noti, così come da gente comune (Ackland, 2018; Graf, 2018).
Dal punto di vista psicosociale, è dunque interessante capire quali possano essere le variabili coinvolte nel sostegno verso simili movimenti, così come i motivi alla base degli atteggiamenti sfavorevoli mostrati da molte persone nei confronti di queste iniziative. È importante, inoltre, ragionare sull’efficacia di movimenti come il #MeToo nel contrasto al problema delle molestie e degli abusi sessuali. A tal fine, dopo un breve inquadramento del movimento #MeToo e delle diverse posizioni critiche da esso sollevate, prenderemo in considerazione i pochi studi che si sono occupati di questo tema, e proporremo alcune riflessioni su possibili benefici e ripercussioni negative di queste forme di azione collettiva.
“Se sei stata molestata o aggredita sessualmente, scrivi me too”
Sebbene il movimento #MeToo sia divenuto noto in tutto il mondo a partire dal 2017, la sua nascita risale al 2006, quando Tarana Burke, attivista per i diritti civili impegnata nel sostegno a giovani donne vittime di violenza sessuale, iniziò ad usare l’espressione “MeToo” sui social media con due finalità dichiarate: aiutare le donne vittime di abusi (soprattutto donne appartenenti a minoranze etniche e inserite in comunità svantaggiate dal punto di vista socio-economico) attraverso “la consapevolezza di non essere sole”, e, più in generale, porre l’attenzione sulla pervasività sociale di tale problema (Garcia, 2017). Tuttavia, il movimento ha acquistato notorietà in tutto il mondo a partire dal 15 ottobre 2017, quando l’attrice Alyssa Milano, a seguito delle accuse di molestie e violenza sessuale mosse da numerose donne del mondo dello spettacolo al produttore cinematografico Harvey Weinstein, twittò “Se sei stata molestata o aggredita sessualmente, scrivi ‘me too’ in risposta a questo tweet”, invitando così le donne a raccontare la propria esperienza al fine di “dare alle persone un’idea della grandezza del problema”. Il successo del messaggio fu esorbitante. Il giorno stesso, l’espressione fu rilanciata circa 200.000 volte, e in 24 ore l’hashtag su Facebook fu usato in 12 milioni di post (Respers France, 2017). A rispondere all’appello di Milano furono anche numerose attrici e personaggi noti del mondo dello spettacolo.
In breve tempo, dunque, il movimento si è diffuso in tutto il mondo ed è stato in vari casi declinato localmente (per esempio, “BalanceTonPorc” in Francia, “QuellaVoltaChe” in Italia). Sono sorti anche movimenti che, con una prospettiva critica verso il #MeToo, si sono posti l’intento di stimolare la riflessione e il cambiamento culturale. Ad esempio, la giornalista e autrice televisiva Liz Plank ha enfatizzato la necessità di spostare il focus della discussione dalle vittime agli assalitori attraverso l’utilizzo dell’hashtag #HimThough: se gli uomini sono nella maggior parte dei casi i responsabili di violenza e molestie contro le donne, allora tali questioni (e la vergogna ad esse connessa) non devono essere considerate un problema principalmente delle donne (Byrnes, 2017). Altre campagne sono nate per dare voce a uomini che ritengono di aver contribuito, con il proprio comportamento o attraverso la giustificazione del comportamento di altri, al problema della violenza e delle molestie: è il caso dei movimenti #IDidThat e #IHave (Radu, 2017). Infine, movimenti contrassegnate da hashtag come #HowIWillChange (creato dal giornalista Benjamin Law) e #IWill (proposto dalla scrittrice Alexandra Samuel) si sono posti l’esplicita finalità di stimolare la riflessione da parte degli uomini, permettendo loro di manifestare pubblicamente la propria intenzione di impegnarsi nel cambiamento della cultura della violenza e della sopraffazione sessuale (Byrnes, 2017; Henning, 2017).
Sebbene questi movimenti non abbiano ricevuto la stessa attenzione mediatica della campagna #MeToo, essi hanno avuto il merito di contribuire alla riflessione culturale mettendo a fuoco le radici del problema e le responsabilità. Indubbiamente, la diffusione del movimento #MeToo, insieme ai movimenti illustrati sopra, ha avuto il merito di porre la questione delle molestie e della violenza sessuale al centro del dibattito sociale e politico in moltissimi paesi del mondo, non solo occidentale (Brown & Battle, 2019; Keyton et al., 2018). La condivisione di esperienze, partita da attrici ed altre donne famose, ha riguardato moltissime donne (e uomini) al di fuori del mondo dello spettacolo, mostrando che gli abusi possono avvenire in tantissimi ambiti, tra cui politica, chiesa, esercito, finanza, sport (CBS, 2017; European Union agency for fundamental rights, 2014; Frye, 2018; Respers France, 2017).
Tuttavia, come menzionato, non sono mancate voci critiche. In particolare, il movimento #MeToo è stato accusato di alimentare una “battaglia dei sessi”, che mette le donne contro gli uomini (Fallon, 2018), ed un clima di “caccia alle streghe” (Wright, 2018). Inoltre, il movimento è stato accusato di ostacolare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e le loro possibilità di carriera, a causa dei rischi percepiti, da parte delle organizzazioni, di avere a che fare con denunce di molestie in ambito lavorativo (Atwater, Tringale, Sturm, Taylor, & Braddy, 2019). Infine, è stato fatto notare che mettendo implicitamente sullo stesso piano forme di abuso sessuale di diversa gravità, si rischia di “normalizzarle” e di renderle più accettabili (After a year of #MeToo, 2018; De Benedictis, Orgad, & Rottenberg, 2019).
Atteggiamenti di donne e uomini verso il #MeToo
Poiché la campagna #MeToo ha acquistato notorietà in tutto il mondo solo in coincidenza con l’inizio dello scandalo Weinstein nell’autunno del 2017, sinora nella letteratura psicosociale pochi studi hanno analizzato il modo in cui tale movimento, e gli altri movimenti sviluppatasi nelle diverse realtà nazionali e ad esso collegati, sono stati percepiti ed accolti. Tra questi, uno studio di Kunst, Bailey, Prendergast e Gundersen (2019) ha confrontato gli atteggiamenti di donne e uomini. I dati, raccolti negli Stati Uniti e in Norvegia, mostrano che, in termini generali, le donne sono più favorevoli degli uomini al #MeToo, ne riconoscono il merito di dare voce alle vittime e di sollecitare il cambiamento sociale e lo considerano meno dannoso per le relazioni di genere e per la società. Questo risultato non stupisce se si considera che le donne, come riscontrato in numerose ricerche, tendono ad attribuire minore responsabilità alle vittime di molestie e mostrano minore accettazione dei cosiddetti “miti” dello stupro e delle molestie sessuali (Lonsway, Cortina, & Magley, 2008; Suarez & Gadalla, 2010), che rappresentano un insieme credenze stereotipate relative alle caratteristiche di tali eventi ed alle loro conseguenze (implicando, per esempio, l’idea che la vittima esageri nella descrizione dell’accaduto e nel denunciare le proprie sofferenze). Inoltre, le donne si considerano generalmente più femministe, e l’adesione al movimento femminista, in termini psicologici se non materiali, è associata al supporto ed alla partecipazione ad azioni collettive contro le disparità di genere (Nelson et al., 2008; Yoder, Tobias, & Snell, 2011). In effetti, nello studio di Kunst e colleghi (2019) gli uomini, oltre ad esprimere un atteggiamento meno positivo verso il movimento #MeToo, riportano una maggiore accettazione dei miti dello stupro ed un più forte sessismo cosiddetto “ostile”, ossia una forma di sessismo che esprime atteggiamenti negativi verso le donne che non si conformano ai ruoli tradizionali di genere (Glick et al., 2000). In modo coerente, gli atteggiamenti degli uomini verso il #MeToo si accompagnano ad una minore considerazione di sé come “femministi”.
Nonostante la ricerca di Kunst e colleghi (2019) abbia evidenziato come le donne sembrino considerare il #MeToo in modo più favorevole rispetto agli uomini, contro il movimento #MeToo si sono levate anche molte voci femminili. Per esempio, la lettera al quotidiano francese Le Monde firmata da un collettivo di più di 100 donne, incluse attrici, giornaliste, docenti universitarie, ha accusato il movimento di rendere difficoltose le relazioni tra uomini e donne, reclamando il diritto di “difendere la libertà di infastidire, che è essenziale per la libertà sessuale” (“Nous défendons une liberté d’importuner”, 2018).
Risulta dunque interessante cercare di comprendere perché molte donne siano scettiche circa le capacità del movimento di soddisfare i propri obiettivi, e mostrino posizioni critiche se non denigratorie verso coloro che, attraverso il movimento, hanno denunciato le molestie subite. Per rispondere a tali interrogativi, in una ricerca da noi condotta (Moscatelli, Golfieri, Tomasetto & Bigler, 2019) abbiamo chiesto ad un campione di studentesse universitarie di esprimersi circa il caso Weinstein ed altri scandali del mondo cinematografico ad esso connessi, indicando quanto, a loro avviso, la responsabilità delle molestie e degli stupri denunciati fosse imputabile alle attrici e showgirls coinvolte piuttosto che agli uomini accusati di aver perpetrato tali abusi approfittando della propria posizione di potere. Poiché, in relazione a casi come questi, una questione molto dibattuta riguarda l’opportunità di effettuare denunce dopo molto tempo dall’accaduto, e la possibilità che tali denunce abbiano in realtà motivazioni diverse (per esempio, aumentare la notorietà delle donne coinvolte), abbiamo chiesto alle rispondenti di esprimersi su tali questioni. Abbiamo inoltre esaminato gli atteggiamenti relativi all’utilità del movimento #MeToo.
Per comprendere le radici degli atteggiamenti verso gli scandali sessuali seguiti al caso Weinstein e verso il movimento #MeToo, abbiamo focalizzato l’attenzione sul ruolo della sessualizzazione interiorizzata, definita come il grado in cui le donne hanno fatto propria l’idea che essere sessualmente attraenti per gli uomini sia un aspetto fondamentale della propria identità (McKenney & Bigler, 2016a). Poichè le donne con un minore livello di sessualizzazione interiorizzata vestono in modo meno sexy e spendono meno tempo ed energie nel tentativo di apparire seducenti rispetto alle loro pari (McKenney & Bigler, 2016b), si potrebbe pensare che esse considerino attrici e showgirls che hanno denunciato abusi sessuali nel caso Weinstein in modo più negativo, colpevolizzandole per aver attirato, con atteggiamenti e nabbigliamento provocanti, le attenzioni sessuali degli uomini accusati di abusi. Questo possibile punto di vista “ingenuo”, tuttavia, non è sostenuto dai risultati degli studi psico-sociali relativi alla sessualizzazione ed all’oggettivazione delle donne, che evidenziano come sposare una visione sessualizzata di sé e delle donne implichi in realtà un maggiore sostegno per una visione tradizionale dei ruoli di donne e uomini nella società (Bernard, Ledrand, & Klein, 2016; Milburn, Mather, & Conrad, 2000; Read, Lynch, & Matthews, 2018; Stermer & Burkley, 2015). Per questo motivo, nello studio condotto (Moscatelli et al., 2019) ci aspettavamo che ad una più forte sessualizzazione interiorizzata corrispondesse una più accentuata tendenza ad accettare miti dello stupro e delle molestie sessuali che implicano l’attribuzione di responsabilità alla vittima.
In effetti, i risultati osservati sono coerenti con quest’ultima ipotesi: le donne che riportano livelli più alti di sessualizzazione interiorizzata hanno atteggiamenti più sessisti verso le donne stesse, mostrano una maggiore accettazione di credenze stereotipate circa le molestie sessuali e attribuiscono maggiore responsabilità alle donne coinvolte nelle denunce relative al caso Weinstein, esprimendo maggiore scetticismo circa le “reali” motivazioni sottostanti le denunce. Infine, le donne con livelli di sessualizzazione più elevata hanno riportato atteggiamenti più negativi verso il movimento #MeToo (Moscatelli et al., 2019). Dunque, tra gli effetti negativi della sessualizzazione e delle rappresentazioni delle donne come oggetto sessuale diffuse nella società contemporanea (Galdi, Maass, & Cadinu, 2014; Pacilli et al., 2017) vi è anche quello di alimentare l’ostilità delle donne verso le altre donne, facendo sì che esse sposino ideologie ed atteggiamenti sessisti e addirittura osteggino iniziative miranti ad aiutare le donne stesse.
Infine, uno studio di Maes, Schreurs, van Oosten e Vandenbosch (2019) con un campione rappresentativo di adolescenti fiamminghi ha evidenziato che l’esposizione a contenuti sessualmente espliciti è associata ad atteggiamenti negativi verso movimento #MeToo. Nello specifico, adolescenti di entrambi i generi che hanno dichiarato di guardare più frequentemente filmati dall’esplicito contenuto sessuale (per esempio, immagini contenenti genitali) su Internet hanno mostrato una maggiore tendenza a considerare le donne come oggetti sessuali ed espresso atteggiamenti più negativi verso le donne che hanno condiviso la propria storia di molestie attraverso il movimento #MeToo.
Il movimento #MeToo tra luci ed ombre: C’è il rischio di backlash?
Il movimento #MeToo ha avuto indubbie ricadute positive per la società. In primo luogo, ha sicuramente raggiunto la finalità originaria di aumentare la consapevolezza dei cittadini, delle organizzazioni e dei decisori politici rispetto alla diffusione degli abusi sessuali nei contesti lavorativi (Brown & Battle, 2019; Keyton et al., 2018). Da questo punto di vista, è innegabile che il movimento abbia innescato un cambiamento culturale nei paesi coinvolti, come testimoniato dalle dimissioni di numerosi personaggi del mondo politico, economico, e non solo, ottenute grazie ai riflettori accesi sul tema delle molestie sessuali (Carlsen et al., 2018; Ettachfini, 2018). Inoltre, il movimento ha favorito la nascita di organizzazioni a sostegno delle vittime, quali, ad esempio, Time’s up, un’organizzazione sostenuta da attrici, produttrici, scrittrici ed altre donne famose del mondo della cultura e dello spettacolo allo scopo di fornire sostegno legale a donne e uomini molestati sessualmente sul lavoro (Buckley, 2018). Iniziative con finalità simili sono sorte in diversi paesi. In Italia, per esempio, è stata promossa la rete “Non una di meno”, che coinvolge diverse associazioni accomunate dal contrasto al sessismo ed alle diverse forme di violenza di genere.
Allo stesso tempo, il dibattito insorto intorno al #MeToo ha enfatizzato le possibili ricadute negative del movimento. Una delle critiche più forti rivolte, sin dal 2017, al movimento è che esso possa rendere più difficili i rapporti tra donne e uomini non solo dal punto di vista affettivo e sessuale (Astier, 2018), ma anche sul posto di lavoro. In particolare, il timore, da parte degli uomini, di essere accusati di molestie sessuali verso colleghe o sottoposte avrebbe ripercussioni negative per l’occupabilità e la carriera delle donne. Questa credenza è emersa, per esempio, in una indagine Vox/morning consult dell’aprile 2018, ed in una ricerca di Atwater, Tringale, Sturm, Taylor e Braddy (2019). Sono le donne, soprattutto, a temere che i datori di lavoro discriminino le donne, in particolare le donne attraenti, in fase di selezione, o comunque decidano di non assumere donne per ruoli che richiedono di cooperare con un uomo in assenza di testimoni (per esempio, a causa di viaggi di lavoro). Inoltre, Atwater e colleghi (2019) hanno riportato che, a fronte di un generale riconoscimento circa i benefici del movimento #MeToo, siano soprattutto le donne a pensare che un sempre maggior cospicuo numero di denunce finisca per rafforzare ancora di più la tendenza a biasimare le donne per il problema, togliendo credibilità alle vittime.
In secondo luogo, si è generato un clima di diffuso discredito verso le vittime di violenza che hanno riportato la propria esperienza tramite il movimento #MeToo, anche nel contesto italiano (Horowitz, 2017; Sciandivasci, 2018): per esempio, il quotidiano Libero ha titolato “Prima la danno poi frignano e fingono di pentirsi” (Farina, 2017). Questo dato non stupisce, in quanto appare in linea con la tendenza, già menzionata, ad attribuire responsabilità alle vittime di violenza sessuale (victim blaming; Pacilli et al., 2017; Penone e Spaccatini, 2019). Allo stesso tempo, ci spinge ad interrogarci sulle eventuali ripercussioni negative del movimento. È possibile che al movimento #MeToo si accompagni un effetto di backlash, ossia di “contraccolpo” (in senso reazionario) verso i valori e le idee che costituiscono il propulsore del movimento stesso? In altre parole, è possibile che la condivisione così massiccia di esperienze di abuso sessuale finisca, da un lato, per creare una certa accettazione del fenomeno inteso come “normale” esito delle relazioni (specialmente quando asimmetriche, in termini di potere) tra uomini e donne e, dall’altro, per focalizzare ancora di più l’attenzione sulle presunte responsabilità delle donne che denunciano?
Questa possibile criticità del #MeToo ha a che fare anche con l’accusa relativa al rischio che il movimento metta sullo stesso piano comportamenti di abuso molto diversi, finendo per banalizzare il problema. Si spiegherebbe così perchè, nello studio di Kunst e colleghi (2019), le donne che avevano effettivamente riportato di aver subito molestie e abusi si siano mostrate più critiche verso il movimento rispetto a coloro che non avevano avuto esperienze personali.
Un ulteriore punto debole di un movimento come il #MeToo potrebbe essere legato proprio al suo essere una campagna svolta soprattutto sui social media: utilizzare un hashtag, condividere la propria esperienza o quella di altri potrebbero apparire come azioni meno gravose, se non superficiali, in confronto ad impegni più concreti offline. Proprio perchè richiedono meno impegno, tuttavia, tali azioni compiute online rischiano di essere anche meno efficaci rispetto ad azioni offline, se non si legano a specifici obiettivi di aiuto verso le vittime di abusi (per esempio, una raccolta fondi per le vittime o la partecipazione ad iniziative più “visibili” agli occhi dei politici e dei cittadini). In tal senso, un sottile effetto di backlash del movimento #MeToo potrebbe essere proprio quello di giustificare un minore impegno in attività che implicano maggiore tempo e maggiore sforzo. Al momento, queste ipotetiche ripercussioni del #MeToo non sono supportate da dati di ricerca. E’ auspicabile, tuttavia, che la ricerca psicosociale ponga attenzione a tali questioni per contribuire a comprendere come, nella nostra società, sia possibile affrontare efficacemente la questione gravosa delle molestie e delle violenze sessuali al fine di realizzare un vero cambiamento sociale.
Glossario
Molestia sessuale: qualsiasi comportamento indesiderato o tipo di discriminazione a connotazione sessuale che offenda la dignità delle persone.
Violenza sessuale: costrizione a svolgere o subire atti sessuali contro la volontà, utilizzando forza, autorità o un mezzo di sopraffazione.
Violenza di genere: violenza psicologica, fisica o sessuale basata su una discriminazione in base al sesso.
Azione collettiva: qualsiasi azione messa in atto per sostenere gli interessi del proprio gruppo sociale o per mostrare solidarietà politica.
Miti dello stupro e delle molestie sessuali: credenze persistenti e largamente condivise, seppur false, mantenute per giustificare o negare stupri e molestie.
Sessismo: atteggiamento pregiudiziale o discriminatorio basato sulla convinzione che le donne siano inferiori agli uomini.
Sessismo ostile: forma di sessismo apertamente negativa, basata sull’idea che le donne sfruttino sessualità o femminismo per controllare gli uomini.
Ruoli tradizionali di genere: norme comportamentali associate specificatamente a maschi e femmine, in un dato gruppo o sistema sociale.
Sessualizzazione interiorizzata: interiorizzazione, da parte delle donne, dell’idea di dover essere attraenti al fine di essere apprezzate dagli uomini.
Backlash: una forte reazione negativa (“contraccolpo”) ad un cambiamento di carattere sociale o politico, che va in direzione opposta rispetto agli obiettivi del fenomeno iniziale.
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