Lo stigma sul peso corporeo. Cause, conseguenze e possibili interventi

Lo stigma sul peso corporeo è una forma di discriminazione diffusa e comunemente accettata (Puhl & Brownell, 2003). L’ideale di magrezza, indice di piacevolezza e successo nella cultura occidentale (Heuer, McClure, & Puhl, 2011), si contrappone all’obesità, che è invece associata a pigrizia, scarsa competenza e volubilità (Himmelstein & Tomiyama, 2015; Puhl & Heuer, 2009). Tali stereotipi sminuiscono il valore delle persone in sovrappeso/con obesità, creano pregiudizi e innescano comportamenti discriminatori che compromettono la qualità di vita delle persone interessate (Pont, Puhl, Cook, & Slusser, 2017; Puhl, Himmelstein, & Pearl, 2020).

Perché gli atteggiamenti sul peso sono negativi? Quando si manifestano? Dove? Quali sono le conseguenze e i possibili interventi? Nel corso dell’articolo risponderemo a queste domande presentando alcune delle più recenti ricerche che, coinvolgendo adulti e bambini, si sono occupate del tema.

Gli atteggiamenti sul peso corporeo

Gli atteggiamenti sul peso corporeo (weight bias) sono oggetto di numerose ricerche volte a studiarne sia la diffusione fra la popolazione sia le sue caratteristiche (e.g., Ogungbe, Mitra, & Roberts, 2019; Puhl, & Heuer, 2009). Nelle prossime righe, in particolare, conosceremo le cause che spiegano perché sono negativi, il loro sviluppo e la relazione in base al peso corporeo.

Le cause degli atteggiamenti sul peso. Una delle più studiate spiegazioni sulle cause degli atteggiamenti negativi sul peso (e.g. Pearl, 2018) è la teoria delle attribuzioni causali (Puhl et al., 2015). Secondo tale teoria, nonostante l’obesità abbia un’eziologia multifattoriale, le persone ritengono che il peso corporeo dipenda principalmente, se non unicamente, dal comportamento personale e valutano il peso in eccesso come una responsabilità (o una colpa) individuale (Brewis, 2014; Khan, Tarrant, Weston, Shah, & Farrow, 2018). Oltre alle attribuzioni causali, anche i valori culturali hanno un ruolo significativo nella presenza degli atteggiamenti sul peso: ad esempio, l’accettazione sociale dello stigma (Puhl, Schwartz, & Brownell, 2005) o l’ideale di un corpo magro per le donne e tonico per gli uomini (Heuer et al., 2011) contribuiscono a sottostimarne la gravità e a legittimare le discriminazioni nei confronti di coloro che si discostano dal modello di peso corporeo ideale (Nutter, Russell‑Mayhew, & Saunders, 2020; Puhl et al., 2005).

I primi atteggiamenti negativi sul peso. Gli atteggiamenti negativi sul peso appaiono molto prima di avere la capacità di esprimerli o, addirittura, di esserne consapevoli. Già a 32 mesi, i bambini mostrano una preferenza per le immagini con peso nella norma (le osservano più a lungo rispetto a quelle con obesità) e tale preferenza è in relazione con quella delle madri: tanto più negativi sono i loro atteggiamenti sul peso, tanto maggiore sarà l’attenzione preferenziale dei loro bambini per le figure con peso nella norma (Ruffman, O’Brien, Taumoepeau, Latner, & Hunter, 2016). In età prescolare i bambini diventano più consapevoli delle loro preferenze personali e sembrano averne anche per il peso (Harriger, Trammell, Wick, & Luedke, 2019; Kornilaki, 2014): nei compiti di attribuzione, associano caratteristiche positive (es. simpatico/a) a immagini o bambole con peso nella norma, e caratteristiche negative (es. dispettoso/a) a quelle in sovrappeso. Gli atteggiamenti sono più negativi quando il bambino ha 5 anni anziché 3 e lo diventano ancora di più in età scolare, un periodo in cui le norme culturali sul peso corporeo sono ben interiorizzate (Harriger et al., 2019; Hutchison & Müller, 2018; Rex‐Lear, Jensen‐Campbell, & Lee, 2019). Di seguito e fino all’età adulta, gli atteggiamenti sul peso si stabilizzano o diminuiscono, pur rimanendo presenti e culturalmente condivisi (Latner & Schwartz, 2005).

Gli atteggiamenti e il peso corporeo. Le ricerche indicano che gli atteggiamenti sull’obesità sono indipendenti dal peso corporeo di chi li esprime (e.g., Puhl & Latner, 2007; Rex‐Lear et al., 2019; Wang, Brownell, & Wadden, 2004): adulti e bambini con peso in eccesso non solo valutano in modo negativo le persone con obesità (“credo che le persone con obesità siano di poco valore”), ma ritengono che tali credenze siano valide anche per se stessi (“la mia obesità mi rende di poco valore”). Questo costrutto, noto come interiorizzazione degli atteggiamenti sul peso, è diverso dagli atteggiamenti sul peso, sebbene siano fortemente correlati (Durso & Latner, 2008): se i primi si rivolgono al sé e riguardano le persone in stato di sovrappeso e obesità, i secondi sono orientati verso gli altri e non cambiano a seconda del peso corporeo (Puhl & Himmelstein, 2018; Zuba & Warschburger, 2017).

Lo stigma sul peso corporeo

La presenza di atteggiamenti negativi sul peso corporeo rende le persone in stato di sovrappeso/obesità vittime di uno stigma sociale (weight stigma) e di conseguenti esperienze discriminatorie. In quali contesti si verificano?

Famiglia. Uno dei più comuni contesti di discriminazione sono le mura domestiche (Puhl, Peterson, & Luedicke, 2013), con partner, genitori e fratelli indicati fra i principali autori di commenti e considerazioni degradanti sul peso corporeo (Puhl & Latner, 2007; Puhl & King, 2013). Ad esempio, lo studio di Lydecker, O’Brien e Grilo (2018) mostra che i genitori condividono atteggiamenti negativi sui bambini con obesità, anche quando i loro stessi figli/figlie sono in stato di peso in eccesso.

Scuola. Le discriminazioni a causa del peso sono molto comuni anche a scuola (Vartanian, Pinkus, & Smyth, 2014; Pont et al., 2017). Bambini e adolescenti con obesità/sovrappeso possono essere esclusi dai pari (De la Haye et al., 2017), risultare fra i compagni meno preferiti (Latner & Stunkard, 2003), essere presi in giro (Puhl, Luedicke, & DePierre, 2013) o diventare vittime di bullismo (Janssen, Craig, Boyce, & Pickett, 2003; Van Geel, Vedder, & Tanilon, 2014). La ricerca di Puhl e colleghi (2011) rivela che circa il 76-81% di adolescenti ha visto coetanei essere presi in giro a causa del loro peso, mentre il 35-46% riporta che essere in stato di sovrappeso è la prima ragione per essere vittima di bullismo a scuola.

Ambiente lavorativo. Dal mondo scolastico le disuguaglianze proseguono nel contesto lavorativo (Puhl & Heuer, 2009), dove a parità di competenze professionali, le persone con obesità vengono assunte o ottengono promozioni e avanzamenti di carriera e di salario con meno probabilità rispetto ai colleghi normopeso (Nowrouzi et al., 2015). Ad esempio, i professionisti delle risorse umane dello studio di Giel e colleghi (2012) attribuiscono alle persone con obesità (donne in particolare) impieghi di minor prestigio: solo nel 2% dei casi vengono identificate come medico o architetti e nel 6% come possibili responsabili.

Contesto di cura. Anche i professionisti che lavorano con le persone con obesità possono condividere atteggiamenti negativi sul peso corporeo (Ogungbe et al., 2019; Tomasetto & Privato, 2013) ed essere, di conseguenza, meno efficaci nel trattamento dell’obesità. Medici, infermieri, personal trainer che considerano i loro pazienti meno affidabili e più arrendevoli possono involontariamente disincentivare il loro impegno verso uno stile di vita più sano (Vartanian & Shaprow, 2008).

I media. Anche la televisione o i social network non sono di aiuto (Savoy & Boxer, 2019): riviste, programmi televisivi e social media ripropongono nelle parole utilizzate, nei personaggi o nelle battute i più comuni stereotipi sul peso (es. Karsay & Schmuck, 2019). I contenuti circolati nei media nel periodo della quarantena causa covid-19 ne sono una prova (Pearl, 2020): l’immagine divisa in due parti prima della quarantena (con una persona con peso nella norma) e dopo la quarantena (con la stessa persona con molti chili in più e vestiti di taglie più piccole) trasmette l’idea che l’obesità corrisponda a trascuratezza e mancanza di autocontrollo, si prende gioco dell’obesità ed è particolarmente dannosa per coloro che cercano attivamente di gestire il proprio peso.

Le conseguenze dello stigma sul peso

Le esperienze di discriminazione vissute nelle relazioni o tramite l’esposizione a contenuti stigmatizzanti hanno serie conseguenze per le persone con peso in eccesso. La salute, il benessere psicologico, il funzionamento cognitivo diminuiscono in presenza dello stigma e le disuguaglianze sociali aumentano (Wu & Berry, 2018; Major, Tomiyama, & Hunger, 2018; Rubino et al., 2020).

Salute fisica. La salute delle persone con obesità, già compromessa dalle comorbilità associate (es. diabete; Guh et al., 2009) peggiora in presenza dello stigma (Wu & Berry, 2018) o della sua interiorizzazione (Pearl & Puhl, 2015). Le discriminazioni, ad esempio, innescano reazioni fisiologiche di stress e alterazioni del funzionamento metabolico (Puhl & Suh, 2015; Jackson & Steptoe, 2018; Himmelstein, Incollingo Belsky, & Tomiyama, 2014) che, a loro volta, sono responsabili dell’aumento del peso corporeo (Hunger, Major, Blodorn, & Miller, 2015; Tomiyama, 2014) e del peggioramento della condizione di salute generale (Shank et al. 2019). Il solo percepire di essere considerati sovrappeso (Robinson & Sutin, 2016) o essere etichettati come “troppo grassi” può comportare un aumento del peso corporeo negli anni successivi (Hunger & Tomiyama, 2014).

Benessere psicologico. Non meno importanti sono gli effetti sul benessere psicologico e sulla motivazione ad attuare comportamenti legati alla salute (Puhl & Suh, 2015; Pont et al., 2017; Vartanian & Porter, 2016). Battute, nomignoli o commenti sul peso corporeo peggiorano la qualità di vita di bambini di 8-11anni all’aumentare del peso corporeo (Guardabassi, Mirisola, & Tomasetto, 2018) e possono demotivare gli adulti nel seguire diete o nello svolgere attività sportive (Vartanian et al., 2018). Anche l’aspettarsi di essere discriminati può avere effetti su ansia, depressione, salute percepita, comportamento alimentare (Hunger & Major, 2015; Hunger, Dodd, & Smith, 2020) e la semplice esposizione a contenuti stigmatizzanti può aumentare il consumo di cibi ipercalorici (Pearl, Dovidio, Puhl, & Brownell, 2015; Schvey, Puhl, & Brownell, 2011) o diminuire l’impegno nel seguire una corretta alimentazione (Nolan & Eshleman, 2016). Gli effetti sono ancora maggiori quando lo stigma è interiorizzato (Pearl, Puhl, & Dovidio, 2015). La review di Pearl e Puhl (2018), composta da 74 studi condotti con bambini, adolescenti e adulti, ne mostra le conseguenze su depressione, ansia, autostima e molte altre dimensioni del benessere psicologico (es. alimentazione o attività fisica).

Funzionamento cognitivo. Alcuni ricercatori hanno verificato gli effetti dello stigma sul peso sulle funzioni esecutive: così come altri gruppi discriminati subiscono gli effetti degli stereotipi sulle loro prestazioni cognitive (Spencer, Logel, & Davies, 2016), anche le persone con obesità risentono dello stigma che le riguarda. Major, Eliezer e Rieck (2012) mostrano che le donne in sovrappeso ottengono prestazioni peggiori nelle prove di inibizione cognitiva dopo essere state videoregistrate anziché audio-registrate: percepire di essere valutate in base al proprio aspetto fisico innesca pensieri e reazioni fisiologiche di stress che riducono le risorse cognitive necessarie per lo svolgimento del compito. In modo simile, i risultati degli studi di Guardabassi e Tomasetto (2018; 2019) indicano che adulti e bambini con obesità presentano una riduzione nelle loro capacità di memoria di lavoro, quando la prova di valutazione cognitiva è presentata come un test di intelligenza, ma non quando la stessa prova è descritta come un’attività di distrazione (agli adulti) o come un gioco (ai bambini). Il timore di essere giudicati e di confermare un’immagine negativa e stereotipica che riguarda il sé, può compromettere il funzionamento cognitivo anche delle persone con obesità.

Comunità. La presenza dello stigma sul peso ha conseguenze anche dal punto di vista socio-economico. Secondo Singh, Russell-Mayhew, von Ranson, e McLaren (2019) parte delle spese associate all’obesità sono attribuibili allo stigma sul peso corporeo: così come le malattie associate all’obesità sono ulteriormente compromesse a causa dello stigma sul peso, così i costi pubblici legati all’obesità dovrebbero tener conto anche degli effetti dello stigma. Inoltre, le discriminazioni subite dalle persone con obesità/sovrappeso nei contesti sanitari o lavorativi riducono gli accessi ai servizi sanitari e aumentano le disparità di tipo economico (Hatzenbuehler, Phelan, & Link, 2013; Rubino et al., 2020). Altra conseguenza è l’attenzione politica al tema: nonostante l’obesità riguardi un numero sempre crescente di persone (Hales, Carroll, Fryar, & Ogden, 2017), il budget dedicato alla ricerca è inferiore rispetto a quello destinato ad altre malattie e non è considerato una priorità (e.g. O’Keeffe, Flint, Watts, & Rubino, 2020; Rubino et al., 2020). Del resto non tutti i Paesi definiscono l’obesità come malattia: in Italia, ad esempio, il Parlamento ha approvato una mozione per riconoscerla come malattia cronica nel novembre 2019 (Quotidiano Sanità, 2019).

 Gli interventi per ridurre lo stigma sul peso

Conoscere lo stigma sul peso è fondamentale per scegliere delle linee di azione per ridurne gli effetti: come intervenire?

Per la comunità. Alcuni ricercatori hanno studiato l’effetto degli interventi normativi nella riduzione dei comportamenti discriminatori (Pearl, 2018). I risultati sono contrastanti: in Michigan, ad esempio, l’introduzione di diritti civili a favore delle persone con obesità ha diminuito le discriminazioni solo verso le donne (Roehling, Roehling, & Wagstaff, 2013) mentre le norme anti-bullismo a scuola non hanno avuto successo, risultato che gli autori attribuiscono alla mancanza di specifiche norme anti-bullismo sul peso (Hatzenbuehler et al., 2017). Nonostante questi limiti, le norme a tutela delle persone con obesità sono raccomandate dagli esperti (Falati et al., 2018) e richieste dalle persone con obesità che sembrano giovarne anche in termini di riduzione dello stigma interiorizzato (Pearl, Puhl, & Dovidio, 2017). Altrettanto importante è aumentare la consapevolezza sulle cause dell’obesità (es. Rubino et al. 2020): chiarire che l’obesità non dipende esclusivamente dallo stile di vita individuale può contribuire a ridurre lo stigma sul peso nella popolazione (Hoyt et al., 2017). Oltre all’azione a livello di comunità, i ricercatori hanno sperimentato strategie di tipo interpersonale. Dunaev, Brochu e Markey (2018) hanno testato l’effetto di un contatto inter-gruppi immaginato, constatando che immaginare una persona con obesità in modo contro-stereotipico (es. sicura e attraente), piuttosto che stereotipico (es. insicura e non attraente), diminuisce gli atteggiamenti negativi sul peso corporeo. Anche lo storytelling, ovvero ascoltare storie di persone con obesità, contribuisce ad aumentare l’empatia e a diminuire gli stereotipi sul peso (Bumeister et al., 2016; Poustchi, Saks, Piaseck, Hahn, & Ferrante, 2013), seppur i cambiamenti appaiano limitati agli atteggiamenti espliciti e a un periodo di tempo circoscritto (Matharu et al., 2014; Swift et al., 2013). Tuttavia, la presenza di modelli positivi può diminuire anche gli atteggiamenti impliciti (Phelan et al., 2015): la riduzione di atteggiamenti sull’obesità negli studenti di medicina è favorita dalla collaborazione con docenti e colleghi che trattano con rispetto i pazienti con obesità.

Per le persone con obesità. Nell’attesa che gli interventi precedentemente descritti ottengano dei primi risultati, le persone con obesità/sovrappeso possono salvaguardare il proprio benessere sia adottando strategie di coping orientate alla rivalutazione della propria situazione piuttosto che all’evitamento (es. “Provo a pensare alle cose buone che mi caratterizzano” vs. “Non mi guardo allo specchio per non pensare al mio peso”; Hayward, Vartanian, & Pinkus, 2017) sia intraprendendo percorsi psicoterapeutici: ad esempio, l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è un approccio efficace sia nella riduzione dell’interiorizzazione dello stigma sia nel miglioramento delle condizioni di salute (Pearl & Puhl, 2018).

Conclusioni

Chi è il personaggio goffo e pigro della TV? Chi vedi come il nuovo manager di successo? Se avete pensato a una persona con obesità per la prima domanda e a una con peso nella norma per la seconda, conosciamo oramai il motivo. Gli atteggiamenti sul peso emergono precocemente, risentono delle influenze del contesto e incidono significativamente sulla vita delle persone con obesità/sovrappeso. Intervenire in modo sinergico è necessario (Falati et al., 2018) e, secondo la World Health Organization (2016), doveroso: a istituzioni, professionisti e cittadini l’invito a collaborare nella riduzione dello stigma sull’obesità. 

Glossario

Stigma. La parola deriva dal latino e significa letteralmente «marchio, macchia, punto, puntura» o dal greco «pungere, marcare». In psicologia sociale è il “marchio” attribuito ad una persona o ad un gruppo sociale che si caratterizza per connotazioni negative che riguardano la reputazione e la condizione sociale.

Stereotipo. Lo stereotipo è l’insieme delle caratteristiche attribuite ad un gruppo sociale che ne disegnano l’identità in modo rigido e inflessibile. Essi non si formano dall’esperienza diretta e oggettiva, ma dal senso comune. Sono pertanto poco accurati, ma difficili da confutare perché ancorati al contesto culturale di appartenenza.

Atteggiamento. Secondo il modello della social cognition, l’atteggiamento è una struttura cognitiva che si crea dall’associazione fra la rappresentazione dell’oggetto/gruppo sociale (gli stereotipi) e la sua valutazione (positiva o negativa). Si caratterizza per la disponibilità (la presenza dell’associazione) e per l’accessibilità (la velocità di recupero dell’associazione). Gli atteggiamenti possono essere rilevati in modo esplicito o implicito. Nel primo caso, il rispondente dichiara il proprio grado di accordo ad una serie di affermazioni relative ad un gruppo sociale. Nel secondo caso, si misura la reazione emotiva alle affermazioni riguardanti un gruppo sociale (con strumenti di rilevazione fisiologica) o la velocità di associazione tra le caratteristiche del gruppo sociale e la loro valutazione (con prove al computer).

Inibizione cognitiva. L’inibizione è una funzione cognitiva che permette di bloccare risposte impulsive o resistere a stimoli distraenti.

Memoria di lavoro. La memoria di lavoro è una funzione cognitiva che permette di tenere in mente le informazioni legate allo svolgimento di un’attività il tempo necessario per portare a termine l’attività stessa.

Acceptance and Commitment Therapy. L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è un tipo di psicoterapia definito di terza generazione in cui il paziente è incoraggiato a guardare ai pensieri e alle emozioni negative come parte del normale funzionamento psicologico e ad agire sulla base dei propri obiettivi e dei propri valori.

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