Il gruppo psicodinamico tra funzione terapeutica e funzione sociale

Introduzione. Un fatto di cronaca

 
Il 7 maggio un gruppo di bambini viveva una situazione critica portata all’attenzione pubblica dal quotidiano La Repubblica: “Colto da un malore mentre guidava uno scuolabus [… l’autista] ha avuto la prontezza di accostare il mezzo al bordo della strada per mettere in salvo i bambini, poi un infarto lo ha ucciso, […] sotto gli occhi […] dei piccoli passeggeri […].

Potrebbe essere spontaneo soffermarsi sull’accaduto solo osservando il gesto individuale dell’uomo generoso. Si propone, invece, di assumere nei confronti di questo gesto una visione che includa anche il punto di vista del gruppo: in primis quello dei bambini che erano sull’autobus, quello del gruppo di persone che si sono fermate a dare l’allarme, del gruppo di automobilisti scampati allo scontro frontale, del gruppo di medici che hanno tentato le manovre di rianimazione (come riferito nel quotidiano). Il signor Q. ha salvato il gruppo di bambini, ha mantenuto la capacità di pensare nel pericolo conducendo il mezzo di trasporto fino a un luogo sicuro per loro e dove non urtasse altri automobilisti, dove si potesse attivare un circuito salva-vita a cui hanno preso parte vari gruppi di persone. Egli ha pensato ed agito come persona parte di un gruppo, non solo come individuo. Il signor Q. aveva scelto un mestiere in cui aveva il compito di portare a scuola gruppi di bambini; era stato per anni direttore di una manifestazione sportiva (la “Cronoscalata”) che godeva di grande popolarità nella sua comunità. Ricordiamo tutto questo per dire che il signor Q. era un uomo di valore ed era anche una persona che sapeva stare e pensare nei gruppi.

Questa storia di coraggio e umanità colpisce e sostanzia un pensiero che guida il modo di condurre i gruppi - dai gruppi di formazione a quelli terapeutici, dei quali, in particolare, si intende dare breve conto in questa sede. Il nascere e crescere nei gruppi, apprendendo e mettendo a frutto quest’esperienza, ha ricadute non solo sul singolo ma, come testimonia il fatto di cronaca appena ricordato, per l’intera comunità sociale. Se, nella vita di una persona, quest’esperienza di apprendimento è stata deficitaria o compromessa da determinate vicende, è possibile ricapitalizzare l’esperienza gruppale attraverso la partecipazione al gruppo psicoterapeutico.

 

Il gruppo: precursore e compagno di vita

 

La cura attraverso il gruppo si basa su un elemento costitutivo della natura umana. La teoria gruppoanalitica classica (Foulkes, 1973) e i suoi sviluppi più recenti in ambito nazionale (Lo Verso & Di Blasi, 2011) e internazionale (Hopper et al., 2017) hanno sostenuto che il gruppo pre-esiste all’individuo e ne plasma l’identità. Si pensi, per esempio, alla frequente “storia” familiare che spiega l’attribuzione del nome proprio, nonché alla ricorrente presenza del nome nelle generazioni precedenti.

Nel corso della presentazione di sé ad una nuova persona, se si avvia un buon dialogo, sorge generalmente il desiderio di conoscere meglio la storia biografica dell’altro e congiuntamente di riferire la propria attraverso alcuni elementi identitari: “Lavoro come psicoterapeuta presso l’ospedale X”, “Sono cresciuta a Catania, dove ho frequentato il liceo classico e ho giocato a pallavolo fino ai 18 anni”. Questi elementi identitari sono collegati irrinunciabilmente all’esperienza di gruppo che l’individuo ha attraversato (Rouchy & Avron, 2013; Vasta, 2011). Nel pensare al percorso di vita, riesce difficile farlo senza congiuntamente rincontrare nella mente i gruppi che l’hanno accompagnato sin dalla nascita, a partire dalla famiglia, o per citarne alcuni: i gruppi di appartenenza giovanile, quelli sportivi, quelli professionali o ricreativi. Ognuno di questi gruppi ha costituito un luogo di sperimentazione di modi di essere, che avrà più o meno aiutato la persona ad affrontare le sfide evolutive del momento.

L’idea chiave gruppoanalitica che il gruppo sia una dimensione fondativa dell’identità individuale ha trovato conferme in vari campi di ricerca, come verrà sinteticamente descritto nel paragrafo successivo, richiamando il contributo delle Neuroscienze Cognitive dello Sviluppo, dell’Infant Research e della teoria dei sistemi motivazionali. Da diversi vertici di indagine, tutti questi filoni di studio hanno dato supporto neuroscientifico alla pregnanza della qualità dello “stare con l’altro” per lo sviluppo e per il benessere psicofisico dell’uomo.

 

La configurazione gruppale della mente: neuroscienze e gruppo

 

Le neuroscienze attualmente documentano come lo sviluppo cerebrale si fondi sull’esperienza relazionale e non solo su un programma genetico (Cozolino, 2017; Edelman, 2004, 2018; Rizzolatti, 2006). In particolare, gli studi delle Neuroscienze Cognitive dello Sviluppo (Macchi Chiassa, Valenza, & Simion, 2012) indagano la relazione tra lo sviluppo cerebrale e lo sviluppo dei processi cognitivi allo scopo di comprenderne l’influenza reciproca: “Questi […] dati hanno permesso di teorizzare modelli di sviluppo neuro-cognitivo basati non più sul concetto di «area» ma di «network» […] per la prima volta, viene attribuita un’importanza fondamentale all’esperienza, che avrebbe il ruolo di plasmare la maturazione cerebrale promuovendo […] la connessione tra aree solo parzialmente funzionanti prima dell’esposizione a specifici stimoli sensoriali linguistici, visivi, ecc.” (Mento & Bisiacchi, 2013, p. 31).

Anche la ”teoria della selezione dei gruppi neuronali” di Edelman (2004, 2018) dimostra che il cervello, sia nella morfologia sia nelle funzioni, si modifica nel rapporto con il mondo.

Tutto questo offre dunque una base neurologica a quella che nell’ambito della psicoterapia psicodinamica di gruppo viene definita “configurazione gruppale della mente” e, congiuntamente, alla valenza specifica che assumono le relazioni interpersonali per l’assimilazione dell’esperienza nel processo di scoperta del mondo, attraverso il quale il cervello si sviluppa. Quest’ultimo aspetto è stato approfondito e documentato dal filone di studi dell’Infant Research (Beebe, 2014; Beebe, & Lachmann, 2014; Stern, 1985; Speranza, 2010).

Inoltre, lo studio delle motivazioni umane mette in luce l’importanza dell’esperienza gruppale per l’individuo: gli studi sui sistemi motivazionali del bowlbiano[1] Liotti hanno cercato di integrare i dati provenienti dall’Infant Research, dalle neuroscienze e dalla pratica psicoterapeutica (Farina & Liotti, 2013). Secondo questa teoria, i sistemi motivazionali sono in stretto rapporto con l’esperienza emotiva e regolano il comportamento umano in funzione di determinate mete filogeneticamente determinate. Sono definiti: il sistema di attaccamento, il sistema di accudimento, il sistema sessuale di coppia, il sistema agonistico di rango ed il sistema cooperativo-paritetico. Di particolare interesse per il tema trattato è proprio quest’ultimo sistema motivazionale. Come gli altri, esso è innato e necessita di un’attivazione “interpersonale”, in quanto esprime quel bisogno fondamentale dell’uomo dell’“essere con l’altro” in una posizione paritaria e cooperativa, né di dipendenza, né di comando, bensì caratterizzata dalla condivisione degli scopi e dalla corresponsabilità delle azioni, in breve dall’inter-dipendenza. Poiché, quindi, far lavorare gli individui attraverso il gruppo stimola una predisposizione naturale, si sottolinea l’importanza nella psicoterapia di gruppo della funzione del conduttore, lo psicoterapeuta di gruppo, ben formato e consapevole della potenza dello strumento a sua disposizione, facilitatore di processi già contenuti nel nostro DNA. Infatti, il sistema motivazionale cooperativo paritetico - che ha quali sistemi secondari correlati il “gioco sociale” e “l’affiliazione al gruppo” - è stato così definito da Liotti & Ardovini (2008, p. 15): “[…] è attivato dalla percezione di obiettivi che, anziché configurarsi alla percezione come risorse limitate per l’accesso alle quali è necessario competere, appaiono […] come meglio perseguibili attraverso un’azione congiunta. Il raggiungimento dell’obiettivo condiviso pone spesso termine [… alla sua] attivazione. Tuttavia, tale sistema sembra aver raggiunto nell’evoluzione della nostra specie una particolare facilità e persistenza di attivazione”.

 

Note sul gruppo di psicoterapia psicodinamica in Italia tra tradizione e sviluppo

Occorre precisare che esistono diversi tipi di gruppi (psicoeducazionali, socio-riabilitativi, di formazione, psicoterapeutici), che si differenziano in primo luogo per lo scopo e poi per ulteriori variabili che tecnicamente vengono definite “parametri del gruppo” (Lo Verso, 2002; Lo Verso & Giunta, 2018). Come già accennato, in questa sede si tratta del gruppo psicoterapeutico e in particolare del tipo di intervento di cura definito “psicoterapia psicodinamica di gruppo”.

La cultura psicoanalitica italiana, tradizionalmente concentrata sull’analisi del singolo paziente, ha influenzato lo sviluppo e le prime prassi terapeutiche del gruppo psicodinamico. Questo contesto ha prodotto una prima ondata di contributi originali sul piano della teoria e della clinica specificamente dedicate ai gruppi, ma ha limitato la diffusione della ricerca empirica, ossia l’avvio contemporaneo di una verifica scientificamente fondata (supportata da dati empirici) dell’efficacia del gruppo.

Questa mancanza di chiarezza nella definizione di prassi condivise può assumere una rilevanza anche sul piano dell’etica professionale. A questo proposito, l’impegno etico dello psicoterapeuta di gruppo, inteso come l’esercizio della professione secondo un modello chiaramente identificato, suscettibile di confronto con gli altri modelli e condiviso dalla comunità professionale, contribuisce a rendere più trasparente l’operare del professionista. Tutto questo è inteso in un’ottica che non perda di vista l’unicità del paziente o del gruppo, ossia in maniera non prescrittiva, piuttosto indicativa. A livello internazionale, il tema è sentito e trattato in importanti contributi (Castonguay et al., 2010; Levy, Ablon, & Kächele, 2012; Westen, 2007); con riferimento specifico alla psicoterapia di gruppo (Brabender, 2007; Leszcz, 2004), attraverso: linee-guida per le buone prassi terapeutiche (Bernard et al., 2008; Leszcz & Kobos, 2008); promozione dell’integrazione fra clinica e ricerca (Griner et al., 2018); progettazione di percorsi di training adeguati (Orlinsky et al., 2015). In Italia, solo nell’ultimo ventennio sono state promosse iniziative condivise a livello nazionale che vanno in questa direzione di sviluppo (Lo Coco, Prestano, & Lo Verso, 2008; Vasta, Gullo, & Girelli, 2018).

 

Il gruppo di psicoterapia psicodinamica: da microcosmo a paracadute sociale

Se lo sforzo della prima generazione di psicoterapeuti di gruppo in Italia è stato quello di dare altrettanta fondatezza sul piano epistemologico a questo tipo di terapia rispetto a quella individuale, oggi il panorama sociale e globalizzato rilancia ulteriormente il gruppo psicoterapeutico quale opportunità di incontro interpersonale e trasformazione delle relazioni (Koukis, 2016), il che consente di sottolineare la peculiare valenza sociale di questo dispositivo di cura psichica rispetto ad altri.

Inoltre, se un tempo il gruppo poteva essere considerato solo una terapia “più accessibile” per i suoi costi più contenuti, e dunque in qualche misura “secondaria” rispetto a quella individuale, oggi, dato che la sua efficacia clinica è stata dimostrata empiricamente (vedi paragrafo successivo) appare a pieno titolo un’esperienza di cura (e umana) di preziosa rarità sociale. Yalom & Lezscz (2005), fra i fattori terapeutici propri del gruppo, hanno identificato l’”apprendimento interpersonale”, che “si configura come uno dei principali fattori di cambiamento poiché il gruppo diventa luogo di autosservazione in cui il paziente ripropone i modelli interpersonali disfunzionali all’interno di un ‘microcosmo sociale’ che, attraverso il feedback degli altri membri e l’autosservazione, favorisce la consapevolezza del proprio modo di stare in relazione e dell’impatto che questo modo di essere ha sugli altri” (Marogna & Caccamo, 2018). Questo tipo di scambio, che può assumere qualità di grande intimità fra i membri del gruppo, senza limitarsi al livello esclusivamente comportamentale, consente di attraversare un aspetto genuino della socialità umana reso sempre più raro nella vita quotidiana della cultura occidentale. Bauman ha ben espresso queste “ferite” del vivere sociale attuale.

Come già Corbella (2004) aveva sottolineato, la fondazione di un gruppo in un’istituzione produce un effetto terapeutico secondario, nel senso che il gruppo non cura solo i propri partecipanti, bensì l’istituzione stessa poiché promuove una cultura di gruppo al suo interno, che è - per definizione - cultura di dialogo, tolleranza e apertura mentale. Nel gruppo l’incontro con l’altro, con il diverso, con il pregiudizio emerge in tempi brevi e in forme piuttosto dirette, a volte amplificate, rispetto a quanto accade in altri contesti terapeutici. Ne deriva quindi che il gruppo non sia semplicemente un antidoto più evidente alla solitudine esistenziale di chi vive questa difficile condizione fuori dalla stanza di psicoterapia, ma costituisca anche un luogo di allenamento verso una mentalità di accoglienza, di benevolenza verso sé e verso il prossimo e di profondo rispetto delle vicende umane.

In questo senso, come esplicitato nel titolo del paragrafo, si intende il gruppo non solo quale dispositivo terapeutico preciso ma anche quale forma di paracadute sociale, in linea con il filone di studi che evidenzia, fra le finalità dell’intervento psicologico l’identificazione e lo sviluppo di risorse psicologiche stabili nell’individuo così come nei gruppi, la promozione della salute individuale e collettiva e non una mera riproposizione del “modello medico” di intervento, teso a ristabilire uno stato di “normalità” da uno di “malattia” (Bertini, 2007).   

 

Le ricadute sociali della psicoterapia psicodinamica di gruppo: più cooperazione, meno isolamento e autoreferenzialità

Oggi risulta empiricamente dimostrato che il gruppo psicodinamico, quale forma di psicoterapia, funziona (Burlingame, Mackenzie, & Strauss, 2004; Burlingame & Jensen, 2017; Lo Coco, Prestano, & Lo Verso, 2008; Lo Coco & Oieni, 2018).

Resta aperta la questione di quale dispositivo gruppale sia più utile per un certo tipo di paziente. In questa direzione, la ricerca empirica sui gruppi è sempre più mirata a identificare le relazioni fra esiti e processi della terapia con uno specifico tipo di gruppo  (Burlingame, Strauss, & Joyce, 2013).  In particolare, gli studi sugli stili di attaccamento di popolazioni cliniche specifiche (Gullo, Lo Coco, Di Fratello, Giannone, Mannino, & Burlingame, 2015; Kivlighan, Lo Coco, & Gullo, 2012; Lo Coco, Gullo, Oieni, Giannone, Di Blasi, & Kivlighan, 2016) possono essere di grande aiuto, in quanto mettono in relazione le caratteristiche dei singoli membri con la composizione del gruppo nel suo insieme e con gli obiettivi terapeutici. Infatti, mentre in passato si parlava di “indicazioni e controindicazioni alla terapia di gruppo” (con focus: quale tipo di paziente – in assoluto - è adatto per il gruppo?), oggi il cuore del ragionamento è quello di combinare in maniera il più possibile calibrata gli obiettivi terapeutici del gruppo con la composizione dei suoi pazienti (Brabender, Fallon, & Smolar, 2004; Rutan, Stone, & Shay, 2014; Vasta & Girelli, 2018). Si tratta allora di fondare/individuare il gruppo giusto per quel paziente inserito insieme a determinati pazienti. In questo senso, lo sviluppo del gruppo omogeneo monosintomatico (composto da pazienti con la medesima diagnosi di ingresso/domanda di cura sintomatologica) e la progettazione di progetti di cura articolati[2] hanno consentito di curare nel gruppo situazioni tradizionalmente “controindicate”, quali, per esempio, i pazienti con sofferenza dell’area: borderline (Karterud, 2015, 2018); psicotica (Aiello & Ahmad, 2014; Di Leone & Arturi, 2013; Kibel, Correale, Colucci, & Vasta, 2004).

Gli individui che si ammalano di depressione o altro purtroppo si isolano, oggi tuttavia possono avere la falsa percezione di avere relazioni solo perché ne intrattengono alcune virtuali (attraverso l’interazione sui vari social network). Invece la presenza fisica, quale appunto si configura in un gruppo di psicoterapia, consente uno scambio a 360 gradi fra i partecipanti, inclusi i terapeuti, a partire dall’attivazione dei neuroni specchio nel vis à vis del gruppo (Badenoch & Cox, 2013; Rugi, 2004; Schermer, 2013).

Da sottolineare, inoltre, è che nel gruppo psicodinamico si punta a favorire nei partecipanti la trasformazione della rabbia e dell’aggressività in parola. La messa in parola richiede e promuove nello stesso tempo la cooperazione fra i membri per metabolizzare le emozioni provate, dare un nome e un significato ai sentimenti circolanti, attraverso il dispiegarsi di fattori terapeutici quali la coesione

(Burlingame, McClendon, & Alonso, 2011), l’autorivelazione, il già ricordato apprendimento interpersonale, i fattori esistenziali, l’universalità (Yalom & Lezscz, 2005), solo per citare quelli che presentano una più alta qualità sociale.

Nei termini dei fondatori della gruppoanalisi (Foulkes & Anthony, 1957), si parlerebbe di “rispecchiamento” da parte di ciascun membro nei confronti degli altri, intendendo dire che ognuno nel gruppo riceve dagli altri un’immagine di sé, di come funziona nelle relazioni. Ciò attiva a sua volta quell’”effetto catena” che consente al gruppo di affrontare un’emozione/sentimento/problema in maniera condivisa, in cui ognuno possa aggiungere il suo contributo/punto di vista alla riflessione, secondo un approccio che può essere qualificato come comunitario. In termini recenti, si può esprimere questo processo, proprio del lavoro svolto nel gruppo, quale scoraggiamento dell’azione a favore della mentalizzazione delle emozioni e della condivisione dei contenuti (Edel, Raaff, Dimaggio, Buchheim, & Brüne, 2017; Kalleklev & Karterud, 2018).

Tutto questo è reso possibile da un lavoro costante che tenda a promuovere nel gruppo un clima di appartenenza e di buona socialità (Neri, 2014). La sperimentazione  di un livello  autentico di intimità interpersonale consente la fuoriuscita non solo dall’isolamento sociale della malattia ma anche da una visione autoreferenziale della propria sofferenza e della vita in generale.

La ricerca e l’esplorazione di un focus comune ai pazienti del gruppo o alla maggior parte di essi è un tratto distintivo della tecnica di conduzione che si posiziona molto diversamente da un approccio centrato sul trattamento di ciascun individuo in quanto tale nel gruppo.

Ritornando al fatto di cronaca presentato in apertura, si vuole sottolineare che il signore che, pur essendo in fin di vita, ha compiuto un gesto a salvaguardia dei bambini (e non solo di loro), era la stessa persona che nel lavoro si occupava di un gruppo, nella vita aveva fatto esperienza di cosa significhi promuovere e sostenere iniziative comunitarie. Adottando una lente di ingrandimento sugli esiti di un percorso di psicoterapia psicodinamica di gruppo per un paziente, si noterà che, durante e dopo la terapia, egli porterà con sé un modo di considerare gli eventi, di relazionarsi agli altri più aperto, più possibilista, più flessibile, meno ritirato su se stesso e sul proprio modo di valutare le sfide che la vita pone. Questo nuovo assetto mentale (gruppale) lo accompagnerà non solo nella vita privata (di coppia, familiare, nelle amicizie) ma anche nell’approccio col suo gruppo di lavoro, nella vita di quartiere, nella comunità di appartenenza. Ecco perché la psicoterapia di gruppo attraversata sia dai pazienti che dai terapeuti può costituire una forma di psicoterapia con importante ricaduta sociale, in quanto “laboratorio di co-costruzione” di una convivenza umanamente più ricca e rispettosa.

 

Glossario

 

Fattori terapeutici specifici del gruppo

Con questa espressione si intendono quei meccanismi intrinseci agli scambi fra i membri di un gruppo che svolgono funzione terapeutica. Vengono detti “specifici del gruppo” per distinguerli da quelli che si attivano in ogni processo di psicoterapia tout court. Per una precisa definizione di tutti i fattori nominati nell’articolo, rinviamo a: Yalom & Lezscz (2005); Marogna & Caccamo (2018).

Dispositivo gruppale

Per dispositivo gruppale intendiamo tutto l’apparato - pensato ed allestito - per sfruttare le potenzialità trasformative e/o terapeutiche di un gruppo psicodinamico.

Ogni dispositivo di gruppo è costituito da determinati parametri e non da altri (per esempio: una data frequenza degli incontri più in linea con l’obiettivo di quel gruppo rispetto a un’altra frequenza; il contesto in cui il gruppo si colloca: pubblico/istituzionale o privato).

Gruppo psicoterapeutico

Fermo restando che i “parametri” qualificano precisamente ogni tipo di gruppo, inseriamo qui gli elementi indispensabili per distinguere un semplice aggregato di persone da un “gruppo” vero e proprio: in primo luogo, lo scopo comune dei membrie l’attività svolta per perseguirlo (il compito condiviso dal gruppo).

Proprio per poter svolgere il compito, il gruppo deve inoltre assumere una struttura:

•il confine del gruppo (dentro/fuori);

•lo spazio/territorio del gruppo (la sede stabile in cui si svolge l’attività o anche “l’area” di appartenenza in senso psicologico, come la comunanza di interessi (per esempio, in un gruppo di amici);

•il tempodel gruppo (la data di fondazione, la durata e frequenza degli incontri).

Indipendentemente dalla teoria della malattia e della cura che sottende lo stile di conduzione del terapeuta e che connota il funzionamento del gruppo stesso, il gruppo psicoterapeutico, di cui tratta il presente articolo , si definisce tale perché ha come scopo comune di chi vi prende parte la domanda e il compito di perseguire la cura.

 

Parametri del gruppo psicoterapeutico

I parametri del gruppo rappresentano, per così dire, le lettere per costruire un alfabeto comune fra gli operatori sociali, i clinici e i ricercatori che hanno a che fare coi gruppi: “sono […] un metodo per ampliare il pensiero clinico e scientifico, per implementare il [… pensare sui gruppi, tramite] una descrizione il più possibile approfondita e dettagliata delle variabili che intervengono nella fondazione e nel processo del gruppo” (Lo Verso & Giunta, 2018). Alcuni dei parametri corrispondono a variabili strutturali del gruppo (per esempio: durata e frequenza degli incontri; numero dei partecipanti), altre hanno più a che fare con elementi di processo (per esempio: gli obiettivi del gruppo; lo stile di conduzione, a sua volta legato alla formazione del terapeuta).

 

Psicoterapia psicodinamica di gruppo

Sotto il “cappello” di psicoterapia psicodinamica di gruppo rientrano diversi modi di lavorare col gruppo, aventi come minimo comun denominatore il fatto che l’obiettivo della terapia consiste non solo nel trasformare il comportamento sintomatologico della persona ma anche in quello di renderla consapevole dei meccanismi che guidano il suo funzionamento psicologico generale, specie quelli al di fuori della sua consapevolezza. Per fare un esempio di come questo si traduca nella prassi clinica: per il gruppo psicodinamico saranno oggetto di riflessione non solo i fatti della vita quotidiana e/o i sintomi dei membri del gruppo, ma anche i sogni condivisi, gli affetti e le emozioni circolanti nel qui e ora della seduta, così come lo stile dei pazienti nelle relazioni interpersonali, le loro storie personali e familiari. Lo stile di conduzione sarà tendenzialmente meno direttivo rispetto ad altre terapie, orientato alla ricerca di un pensiero comune nel gruppo e a promuovere le trasformazioni possibili, con pazienza e benevolenza, tollerando la frustrazione e l’incertezza di alcuni passaggi terapeutici, sostenendo i percorsi di ciascun paziente, senza seguire protocolli standardizzati come, per esempio, accade invece in altri tipi di terapie.

 

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[1] John Bowlby è il caposcuola della teoria dell’attaccamento, a partire dalla quale è stata sviluppata la teoria biologico-evoluzionista dei sistemi motivazionali di G. Liotti.
[2]Calibrare gli obiettivi sulla composizione del gruppo significa anche ripensare i trattamenti di gruppo come parti di percorsi di cura più ampi (per esempio: gruppi psicodinamici inseriti in comunità terapeutiche per i pazienti più gravi) comunque dotati di specificità e passibili di valutazione empirica.