Leggo i tuoi pensieri, anche se non dovrei: la teoria della mente implicita

La teoria della mente

Perché Daniela si è nascosta dalla mamma? Cosa pensa Luca quando incontra la sua ex fidanzata? Ci troviamo continuamente a riflettere su e cercare di comprendere pensieri, sentimenti, credenze e desideri delle persone che incontriamo nella nostra vita, e siamo anche molto bravi a farlo. Questa nostra capacità di intuire e rappresentarsi gli stati mentali altrui sulla base dell'osservazione del comportamento è stata definita dai ricercatori come Teoria della Mente o mentalizzazione (Theory of Mind, ToM Premack & Woodruff, 1978). La ToM è di grande importanza per noi esseri umani perché ci permette di prevedere il comportamento degli altri, di apprendere e di comunicare e soprattutto di stabilire relazioni complesse nel contesto sociale in cui viviamo.

Oggetto d'intensa attività di ricerca negli ultimi trentacinque anni, la ToM è stata studiata principalmente nei bambini attraverso il test delle false credenze, o compito di Sally e Anne (Wimmer & Perner, 1983). Il test si svolge sotto forma di gioco di finzione. Sally e Anne stanno giocando insieme in una stanza. Sally mette una biglia in una scatola di colore giallo e poi esce dalla stanza. Anne, in assenza di Sally, prende la biglia dalla scatola di Sally e la nasconde in una scatola rossa. A questo punto, Sally torna con l'intenzione di giocare con la biglia e l'esaminatore chiede al bambino dove Sally cercherà la sua biglia. Se il bambino risponde affermando che Sally cercherà la biglia nella scatola rossa, si può affermare che il bambino non è in grado di ragionare sulle "false credenze". Soltanto intorno all'età di quattro anni, i bambini sono in grado di dire che Sally cercherà la biglia dove l'aveva lasciata prima di uscire dalla stanza (nella scatola gialla). I bambini che superano il test con successo, si rendono quindi conto che una persona può avere diverse percezioni e interpretazioni della realtà dei fatti e questa persona agirà in conseguenza della propria rappresentazione (falsa credenza) e non in relazione a ciò che è vero. Inoltre, lo svolgimento del compito in maniera corretta, richiede la capacità di inibire ciò che sappiamo della realtà (la nostra prospettiva) in favore della prospettiva dell'altro (Baron-Cohen et al., 1985; McKinnon & Moscovitch, 2007; Wellman et al., 2001; Wimmer & Perner, 1983).

Molti autori sostengono che la nostra capacità di attribuire, a noi sessi e agli altri, stati mentali e credenze si basa sull'attività di aree cerebrali specializzate per questa funzione. Studi di neuroimmagine o risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno mostrato l'esistenza di una serie di aree cerebrali che sono sempre attive quando i partecipanti sono impegnati nello svolgimento di compiti di ToM (e.g., Saxe & Kanwisher, 2003; Ruby & Decety, 2003). Gli studiosi di questo campo d'indagine si riferiscono a queste aree utilizzando il termine "circuito della ToM". Questo comprende la giunzione temporo-parietale (TPJ), la corteccia prefrontale anteriore-mediale (aMPFC), il solco temporale superiore (STS) e il precuneo (PC). Alcune meta-analisi recenti hanno confermato che non solo il test delle false credenze ma anche altri tipi di compito, che richiedono al partecipante di riflettere sugli stati mentali o emozioni altrui, attivano in maniera consistente la TPJ e la MPFC. (e.g., Van Overwalle, 2009; Schurz et al., 2014).

Sulla base di molte ricerche si è quindi concluso che la ToM è una funzione complessa, che emerge relativamente tardi nel corso dello sviluppo, si basa su meccanismi neurali specializzati e richiede l'apprendimento di abilità di controllo di alto di livello (per esempio la capacità del soggetto di inibire ciò che sa della realtà dei fatti) e funzioni linguistiche. Inoltre la ToM sembra essere una capacità squisitamente propria di noi essere umani e assente quindi negli altri animali, almeno con lo stesso grado di complessità. Alcuni ricercatori, come Baron Cohen e collaboratori, hanno inoltre proposto che una ridotta capacità di inferire gli stati mentali altrui, potrebbe essere alla base delle difficoltà d'interazione sociale e comunicazione nella sindrome dell'Autismo (BaronCohen et al., 1985; Frith & Frith 2012).

 

La teoria della mente implicita

Negli ultimi anni, alcuni autori hanno fatto scoperte interessanti che mettono in discussione la nostra visione tradizionale della ToM. Questi autori hanno sviluppato compiti che non richiedono abilità linguistiche ed hanno scoperto che anche bambini più piccoli, di pochi mesi di vita, sembrano essere capaci di rappresentarsi le false credenze. Nei bambini piccoli, questi compiti si basano sulla misura dei movimenti oculari e dei tempi di fissazione (Kovács et al., 2010; Onishi & Baillargeon, 2005; Senju, et al., 2011; Southgate, et al., 2007; Surian, et al., 2007). Inoltre, si è scoperto che anche gli adulti possiedono una tendenza spontanea o automatica a rappresentarsi quello che gli altri vedono dalla loro prospettiva, pensano e credono. Quello che alcuni autori hanno dimostrato è che, anche quando non ci viene richiesto esplicitamente di ragionare su quello che gli altri stanno pensando, lo facciamo in modo inconsapevole e, cosa ancora più interessante, quello che gli altri pensano influenza il nostro comportamento (Kovács et al., 2010; Schneider et al., 2011; Nijhof, et al., 2016). 

Nel loro studio, Kovács e collaboratori (2010), presentavano ai bambini di 7 mesi una serie di video mentre i loro movimenti oculari e i tempi di fissazione venivano registrati. I video rappresentano il personaggio di un cartone animato che osserva un oggetto e ottiene una certa conoscenza rispetto alla posizione di tale oggetto (per esempio, l'avatar osserva una palla rotolare dietro uno schermo verde) prima di lasciare la scena. Dopo la presentazione del video, i bambini mostravano sorpresa, ovvero guardavano più a lungo lo stimolo, quando gli veniva presentato l'oggetto in una posizione diversa rispetto alla falsa credenza del personaggio del video. Gli autori hanno poi sottoposto un gruppo di adulti allo stesso test. Questa volta i partecipanti erano istruiti ad effettuare una detezione dell'oggetto, ovvero premere un tasto il più velocemente possibile alla comparsa dell'oggetto dietro lo schermo verde alla fine di ogni video. Dopo la presentazione del video, i tempi di risposta dei partecipanti erano più veloci, non soltanto quando i partecipanti stessi si aspettavano che la palla si sarebbe trovata dietro lo schermo verde, ma anche quando soltanto l'avatar (e non il partecipante) credeva che l'oggetto si sarebbe trovato in quella posizione (condizione di falsa credenza). Quello che è importante qui è che nonostante che ai partecipanti non fosse mai richiesto di presentare attenzione o considerare la credenza dell'avatar, quest'ultima aveva un effetto sistematico sulla prestazione del partecipante. Schneider e collaboratori (2011) ottengono un risultato simile misurando i movimenti oculari. Questi autori hanno mostrato che il modo in cui gli adulti esploravano una scena con il loro sguardo, dipende dalle credenze dell'altro presente sulla scena. La cosa interessante è che i partecipanti, alla fine dell'esperimento, non riportavano di essere consapevoli della manipolazione sperimentale.

I risultati ottenuti con questo tipo di ricerche suggeriscono che, durante le nostre interazioni sociali, ci rappresentiamo spontaneamente le false credenze degli altri e tali false credenze influenzano il nostro comportamento. Poiché i partecipanti non sono consapevoli della manipolazione sperimentale, i compiti come quelli sopra descritti sono chiamati compiti di ToM implicita. Diversamente da quanto sostenuto dalla visione tradizionale della ToM, queste scoperte recerti suggeriscono che la ToM è una capacità che non richiede necessariamente l'intervento di funzioni esecutive (di controllo) o l'utilizzo del linguaggio. Inoltre la ToM, almeno nella sua versione implicita, sembra emergere molto prima nel corso dello sviluppo rispetto a quanto si credeva in passato ed essere già presente nel primo anno di vita.

           

La teoria della mente implicita ed esplicita sono la stessa cosa?

Gli studi recenti condotti sulla ToM della mente implicita hanno acceso un dibattito nella comunità scientifica. Molti autori si chiedono se la ToM implicita o spontanea e la ToM esplicita (ovvero il ragionare consapevolmente sulle credenze altrui) siano la stessa cosa. Queste funzioni coinvolgono gli stessi processi cognitivi ed hanno le stesse basi neuro-fisiologiche? Alcuni autori affermano che quello che viene misurato nei compiti di ToM implicita, soprattutto nei bambini piccoli, sarebbe l'effetto di alcune capacità di base, dominio-generali, come l'orientamento dell'attenzione, che ben poco hanno a che vedere con le abilità complesse e specializzate della ToM (Heyes 2014). Alcuni autori hanno proposto invece che la ToM implicita ed esplicita riflettono due sistemi diversi (Apperly & Butterfill, 2009): un sistema di ToM implicita che opera in modo veloce ed efficiente, emerge precocemente nello sviluppo ed opera in assenza di consapevolezza ad un sistema di ToM esplicita che invece si svilupperebbe grazie all'apprendimento, sarebbe più lento e flessibile e richiederebbe più risorse cognitive. Per ultimo, Carruthers (2016) postula l'esistenza di un unico sistema di mentalizzazione che sarebbe in grado di operare sia in maniera automatica sia sotto il controllo delle funzioni esecutive. Per il momento, solo pochi studi hanno affrontato direttamente la questione (e.g., Nijhof et al., 2016; Schneider et al., 2014; Hyde et al., 2015).

 

ToM implicita ed esplicita a confronto

In uno studio recente, pubblicato sulla rivista Social Cognitive and Affective Neuroscience (Bardi et al., 2016) abbiamo cercato di rispondere a questa domanda utilizzando il neuroimaging per confrontare direttamente l'attività cerebrale mentre i partecipanti svolgevano un compito di ToM implicita ed esplicita. Per fare questo abbiamo chiesto agli stessi partecipanti di svolgere entrambi i tipi di compito. Abbiamo modificato il compito di Kovács e collaboratori (2010) in cui i partecipanti osservavano brevi video che rappresentano un oggetto che si muove sulla scena e un avatar che acquisisce una credenza falsa o vera riguardo la posizione dell'oggetto alla fine del video (belief formation phase) (Kovács et al., 2010; Nijhof et al., 2016).
I partecipanti erano istruiti a premere un tasto alla presenza dell'oggetto nella fase finale di ciascun video (outcome phase). Il complito implicito ed esplicito erano identici per quanto riguarda le immagini presentate. L'unico aspetto che differenziava i due compiti era che, solamente nel compito esplicito, ai partecipanti era richiesto di riflettere sulle credenze (vere o false) del personaggio della scena. Grazie a questa procedura, abbiamo potuto confrontare l'attività cerebrale evocata durante lo svolgimento del compito mentre i soggetti elaboravano esplicitamente o meno le credenze del personaggio della scena. 

Abbiamo confrontato l'attività cerebrale evocata durante le prove di falsa credenza con l'attività evocata durante le prove di vera credenza. Guardando all'attività cerebrale durante la presentazione dei video (belief formation phase), questo confronto ha mostrato attività nella corteccia parietale inferiore, in corrispondenza della TPJ dell'emisfero destro.
 Inoltre, abbiamo analizzato separatamente l'ultima fase del video (output phase) concentrandoci sulla violazione dell'aspettativa. Abbiamo analizzato le condizioni in cui l'aspettativa del partecipante veniva violata (la palla era presente dietro lo schermo, quando il partecipante credeva che la palla si trovasse fuori dalla scena) e le condizioni in cui l'aspettativa di Buzz veniva violata (la palla era presente ma Buzz credeva che la palla si trovasse fuori dalla scena). In entrambi i casi, la violazione dell'aspettativa evocava attività nella aMPFC. Questo risultato suggerisce che le credenze proprie e altrui vengono rappresentate in modo simile. Il risultato più importante però è che questi effetti non variavano al variare del tipo di compito. In altri termini, il compito implicito che il compito esplicito evocavano l'attività di TPJ e aMPFC in egual misura.

 

Conclusioni

Studi recenti hanno mostrato che, durante le nostre interazioni sociali, elaboriamo in maniera automatica, e senza consapevolezza, la prospettiva delle persone con cui ci troviamo a interagire. Come gli altri vedono le cose, le loro opinioni e l'anticipazione delle loro azioni, influenza le nostre scelte e il nostro comportamento in generale. I risultati del nostro studio supportano l'idea chetale forma di ToM implicita si basa sugli stessi meccanismi neurali che sono coinvolti nella ToM esplicita, ovvero TPJ and aMPFC. Inoltre, un risultato interessante è che queste due aree del circuito della ToM potrebbero svolgere ruoli diversi la TPJ sarebbe maggiormente coinvolta nella rappresentazione delle false credenze, mentre la aMPFC sarebbe maggiormente coinvolta nella valutazione dell'"outcome". E' importante notare comunque che molti studi saranno necessari in futuro per confermare questo risultato ed esplorare le aree di sovrapposizione e le possibili differenze tra ToM implicita ed esplicita, soprattutto nell'ambito dello sviluppo. L'acquisizione di tali conoscenze potrebbe avere un impatto importante nello studio delle condizioni dei pazienti con difficoltà nella cognizione sociale, come l'autismo. Per esempio, molti studi hanno mostrato che i compiti classici di teoria della mente (compiti espliciti), sono troppo facili per i soggetti adulti con autismo ad alto funzionamento, ovvero quei soggetti che possono presentare problemi di interazione sociale pur non presentando gravi difficoltà in altri aspetti dello sviluppo cognitivo e linguistico. Per questo motivo, questi soggetti, pur presentando difficoltà d'interazione sociale, possono avere una prestazione perfetta nei compito di ToM esplicita. Al contrario, alcuni studi preliminari (e.g., Deschrijver et al., 2016) hanno mostrato che i compiti impliciti potrebbero essere più sensibili e quindi più adatti a rilevare difficoltà della sfera sociale negli adulti con autismo ad alto funzionamento.

           

Bibliografia

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Carruthers, P. (2016). Two systems for mindreading? Review in Philosophy and Psychology, 7, 141-162.

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