Metaverso e mondi virtuali, quali prospettive di ricerca e di intervento in ambito psicosociale?

Metaverso, quali prospettive di ricerca in ambito psicosociale?

La maggior parte delle nostre interazioni sociali, oggi, avvengono attraverso strumenti digitali. Fino a pochi anni fa era comune ritrovare una contrapposizione netta e dicotomica fra quello che era il mondo digitale, spesso visto come uno spazio futuristico e accessibile solo ai pochi e primi appassionati di tecnologia, con quanto accadeva nel mondo offline. Oggi questa netta distinzione non ha più ragion d’essere e risulterebbe addirittura assurda agli occhi della GenZ, data la forte pervasività delle tecnologie digitali nelle interazioni sociali di tutti i giorni. Risulta quindi più appropriato immaginare un continuum che desrive le nostre interazioni sociali, ai cui estremi si collocano da un lato le interazioni che avvengono completamente offline e dall’altro quelle che si realizzano esclusivamente nel reame digitale. A metà del continuum si pongono le interazioni quotidiane, quelle che passano ad esempio attraverso i social media o i sistemi di messaggistica che intratteniamo con persone che fanno già parte della nostra rete sociale. Le tecnologie digitali sono in continua e rapida evoluzione e con esse aumentano anche le possibilità di intessere relazioni sociali. A questo proposito, il web sta entrando in una nuova fase, quella che molti esperti chiamano web 4.0, caratterizzata da tecnologie immersive e tridimensionali, note alla cultura di massa anche come metaverso. Il termine metaverso compare per la prima volta nel 1992 nel romanzo cyberpunk “Snow Crash” di Neal Stephenson e descrive un mondo virtuale creato a computer dal protagonista Hiro. Secondo una moderna accezione, si riferisce ad uno spazio digitale tridimensionale generato a computer nel quale più utenti, collocati in luoghi fisici differenti, possono interagire in tempo reale all’interno di un ambiente digitale condiviso (Frey et al., 2008). Il metaverso può essere considerato come una rete di mondi digitali frequentabili da un numero illimitato di utenti, in cui oggetti e ambienti sono persistenti (Ball, 2021). Indossando visori per la Realtà Virtuale (VR) gli utenti possono ritrovarsi in ambienti ricostruiti digitalmente e vivere esperienze insieme ad altre persone, attraverso il proprio avatar. La natura sociale e interattiva del metaverso può migliorare la collaborazione tra individui e offrire innovative soluzioni per il lavoro a distanza (Econopoly, 2022). Gli esperti prevedono che questa tecnologia potrebbe rivoluzionare la formazione e lo sviluppo delle competenze, offrendo uno spazio digitale per l’apprendimento collaborativo e rendendo il processo più veloce e interessante (Kye et al., 2021). Ad esempio, una recente metanalisi mostra come l’apprendimento in ambienti digitali tridimensionali sia particolarmente efficace (rispetto a metodi didattici tradizionali) nella maggior parte delle discipline, come scienza, matematica, lingue e musica (Villena-Taranilla et al., 2022). Si pensi, ad esempio, alla difficoltà di rappresentare una funzione matematica su un piano a tre dimensioni. In questo contesto una rappresentazione 3D attraverso dei visori consente una più immediata visualizzazione della funzione algebrica, diminuendo il carico cognitivo dello studente o della studentessa nel processo di astrazione mentale. Nonostante ci siano ancora alcune sfide tecnologiche da affrontare per renderlo accessibile, il metaverso ha le potenzialità per offrire un nuovo livello di esperienze e interazioni sociali, aprendo nuove opportunità per l’educazione, la cultura e l’intrattenimento. Tuttavia, anche se le potenzialità di questa nascente tecnologia sono enormi, è necessario considerare le possibili conseguenze negative, quali, ad esempio, un inasprimento delle disuguaglianze sociali e un aumento del divario tecnologico. Infatti, sono già state evidenziate speculazioni a livello economico, che hanno perpetuato la stratificazione sociale derivante dalle disparità economiche della società attuale all’interno di questo nuovo universo digitale. Il metaverso è infatti associato al settore delle criptovalute, ritenute come la base per un sistema economico virtuale all’interno di questo spazio. Ad esempio, numerose persone, indotte dalle oscillazioni vantaggiose del settore delle monete digitali e dall’entusiasmo che ha caratterizzato la nascita metaverso, hanno effettuato importanti investimenti per acquisire beni digitali certificati, attratti dalle promesse di facili guadagni. Tuttavia, una volta sopito l’interesse iniziale e una volta sgonfiata la bolla speculativa, tali beni digitali hanno visto una significativa perdita di valore e di conseguenza una perdita economica per gli investitori. Oltre a questo, è opportuno evidenziare che, pur essendo progettato per promuovere l’interazione sociale e per rispondere a bisogni sociali degli utenti (Cole & Griffiths, 2007), il metaverso potrebbero favorire l’isolamento sociale, portando ad intrattenere relazioni sociali esclusivamente mediate da ambienti digitali in misura ancora maggiore rispetto a quanto è già avvenuto con la diffusione massiva delle tecnologie mobile (IAA Redazione, 2021) andando a sostituire le interazioni nel mondo reale. Questa possibilità potrebbe quindi esacerbare le conseguenze negative già descritte rispetto all’utilizzo dello smartphone, o di altri strumenti digitali, nel momento in cui relazioni sociali superficiali mediate dalla tecnologia diventano una sostituzione di relazioni significative nel mondo reale (Waytz & Gray, 2018). Ma quali sono le opportunità che il metaverso può offrire nel campo della ricerca psicosociale? Nel presente lavoro si cercherà di offrire una panoramica sulle caratteristiche di questa nuova tecnologia, i principali meccanismi psicologici a livello del sé individuale e del sè sociale, per giungere infine ad una analisi delle potenzialità che il metaverso puo offrire sia per la ricerca che per la società del (prossimo) futuro.

Metaverso, processi cognitivi e dinamiche sociali

Il metaverso permette di esplorare spazi e vivere esperienze digitali in modo simile a quanto accade nel mondo offline. Infatti, tale tecnologia non consente semplicemente la riproduzione di esperienze reali in un ambiente digitale 3D, ma rende possibile incarnarsi in corpi virtuali o avatar. A questo proposito, l’embodiment e il senso di presenza rappresentano meccanismi psicologici che, agendo a livello individuale, rendono le esperienze all’interno di un universo simulato, realistiche. Il processo di embodiment consente di acquisire consapevolezza del proprio avatar all’interno di uno spazio virtuale. L’avatar viene mappato nella rappresentazione corporea dell’utente, divenendo la principale interfaccia attraverso cui manipolare l’informazione disponibile (Kilteni et al., 2012). Il metaverso non è limitato dalle leggi della fisica, né della biologia o dell’evoluzione: gli utenti sono liberi di creare e indossare qualsiasi forma di corpo virtuale, non necessariamente antropomorfi. Infatti, secondo la teoria della discrepanza del sé di Higgins (1987), è possibile identificare diverse dimensioni del sé: il sé reale e il sé ideale. Questi costrutti che rappresentano, rispettivamente, la percezione che il giocatore ha di come è e di come vorrebbe essere nella vita reale. In questa prospettiva, l'avatar rappresenta il sé online del giocatore e costituisce un ponte per la riduzione della discrepanza che spesso esiste fra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere (Bessière et al., 2007) e l’interazione attraverso un avatar può favorire cambiamenti nella percezione di sé. Questo effetto è noto in letteratura come Proteus Effect (Yee & Bailenson, 2007) e deve il suo nome a una divinità greca in grado di mutare forma a suo piacimento. Il Proteus Effect descrive il fenomeno per il quale il comportamento di un individuo si modifica sulla base delle caratteristiche del proprio corpo virtuale (Yee & Bailenson, 2007): se un individuo crede che gli altri si aspettino una determinata condotta in considerazione dell’aspetto del proprio avatar, è probabile che lui/lei si comporti in linea con tali aspettative. (Yee & Bailenson, 2007). Ad esempio, Fox et al. (2013) hanno mostrato che dopo aver interagito attraverso avatar sessualizzati, le partecipanti allo studio riportavano maggiori pensieri legati al proprio corpo, rispetto a donne che avevano assunto l’identità di avatar non sessualizzati. In linea con l’effetto Proteus, questi risultati suggeriscono quindi una maggiore tendenza all’auto-oggettivazione che permane anche dopo l’esperienza virtuale e derivante dalla sessualizzazione del proprio corpo virtuale (Fox et al., 2013). Altri autori (Chandler et al., 2009) hanno dimostrato che, dopo interazioni ripetute con un particolare avatar, gli individui tendono a presentare cambiamenti a lungo termine nella percezione del sé, tanto che il corpo virtuale diventa una parte strutturale del concetto di sé. Ad esempio, i partecipanti ad un esperimento, dopo aver utilizzato avatar di corporatura differente dalla propria, tendevano a stimare il proprio indice di massa corporea come più simile a quello dell’avatar, rispetto a quello reale (Chandler et al., 2009). Un meccanismo psicologico altrettanto importante che governa le esperienze in ambienti digitali tridimensionali è il senso di presenza. Tale costrutto viene definito come uno stato psicologico in cui la virtualità passa inosservata rispetto alle percezioni dell’utente (Lee, 2004), il quale non riesce a riconoscere il ruolo della tecnologia, garantendo una esperienza realistica in un ambiente simulato a computer (Riva, 2009). In letteratura, sono state definite diverse forme di presenza esperita dagli utenti, ma, nell’ambito della ricerca psicosociale, è di particolare interesse la social presence, ovvero la sensazione di conoscere un’altra persona, quindi la sua personalità e le sue intenzioni, anche se viene incontrata soltanto nello spazio virtuale. Per tanto, in assenza di social presence, gli altri utenti sarebbero percepiti come oggetti artificiali e non come altri esseri viventi con cui interagire (Oh et al., 2023). Negli ambienti digitali, nonostante l’individuo sia fisicamente da solo, le sue esperienze sono fortemente di natura sociale, grazie alle infinite possibilità di interazione con altri individui. Ciò consente di sperimentare diverse identità, sia individuali che sociali. A tale riguardo, la teoria dell’identità sociale (Tajfel, 1981) cattura l’importanza che un gruppo di appartenenza assume per il singolo e tale rilevanza emerge anche negli spazi digitali (Reicher et al., 1995). I gruppi online possono essere rilevanti anche nella vita quotidiana delle persone, a tal punto che l’identità sociale derivante dall’appartenenza ad un gruppo virtuale diviene una parte importante del sé (Williams, 2006). Ad esempio, sapere che il forum online che frequentiamo viene criticato dai media, ad esempio, per la diffusione di fake news, ci fa sentire a disagio e pronti a difendere la piattaforma digitale alla quale sentiamo di appartenere. In questa direzione, studi condotti agli albori delle interazioni in spazi digitali (McKenna & Bargh, 2000) suggeriscono che l’anonimato visivo, ovvero la mancanza della presenza fisica durante l’interazione mediata attraverso una tecnologia, non renda l'individuo meno consapevole del proprio sé, ma favorisca invece una transizione dal sé personale a quello sociale, rendendo quindi meno saliente l’identità individuale degli utenti, in favore di un’ identità sociale espressione dell’appartenenza al gruppo online (McKenna & Bargh, 2000). Inoltre, secondo Amichai-Hamburger (2013), gli ambienti digitali rispetto a quelli offline, sono sempre accessibili. Inoltre, da un punto di vista psicologico individuale, creano un ambiente protetto unico e sicuro che, grazie proprio all’anonimato, consente un maggiore controllo sull’interazione e una maggiore facilità nel trovare individui con interessi simili, favorita anche da una presentazione selettiva del sé. Così come il web ha permesso di allargare il palcoscenico delle possibili identità a infinite possibilità di interazione sociale, nel metaverso tutto questo può essere amplificato dalla possibilità di interagire con altri utenti attraverso corpi virtuali. Spears e collaboratori (1990) suggeriscono che alcuni codici tipici della comunicazione interpersonale, soprattutto quelli non verbali come le espressioni del volto, siano limitati dalla comunicazione mediata dalla tecnologia. Questa osservazione era sicuramente vera per la comunicazione attraverso chat o sistemi di messaggistica, tuttavia, il metaverso e l’adozione di avatar tridimensionali potrebbero colmare questa mancanza. Di conseguenza, è possibile che i processi di identificazione, di depersonalizzazione e le dinamiche di gruppo osservate in ambienti digitali più tradizionali emergano in maniera ancora più evidente nel metaverso, grazie alla ricchezza e alla complessità delle interazioni che tale tecnologia consente.

Metaverso: un nuovo spazio per il contatto e la riduzione del pregiudizio?

Le potenzialità del metaverso possono essere sfruttate dalla psicologia sociale, tanto più se si considerano grandi cambiamenti che stanno interessando la popolazione mondiale, legati alla globalizzazione e a flussi migratori crescenti, che inevitabilmente danno luogo a occasioni di contatto, spesso non voluto o addirittura forzato, tra membri di gruppi diversi. Nell’ambito delle relazioni intergruppi, il contatto tra membri appartenenti a gruppi distinti può portare a una riduzione del pregiudizio e ad atteggiamenti più favorevoli nei confronti dell’outgroup (Brown & Hewston, 2005; Pettigrew & Tropp, 2006). Si tratta dell’idea alla base della Contact hypothesis (Allport et al., 1954), che identifica quattro condizioni ottimali che rendono il contatto intergruppi massimamente efficace, ovvero la presenza di un sostegno istituzionale, uno status uguale, la cooperazione, e un obiettivo comune. Ricerche successive hanno mostrato che il contatto può avere esiti positivi anche se queste non sono presenti. Tuttavia, condizioni di contatto negative, caratterizzate da minaccia percepita o ostilità, conducono a un peggioramento delle relazioni intergruppi, tanto che alcuni autori hanno sostenuto che gli effetti dannosi del contatto negativo siano più forti dei benefici che derivano dal contatto positivo (Barlow et al., 2012). L’ innovazione tecnologica avvenuta negli ultimi anni e, in particolare, la diffusione dei social media, hanno aperto a nuove possibilità di intervento ispirate all’ipotesi del contatto, tra le quali, il contatto online: una modalità di contatto che avviene con un esponente dell’outgroup all’interno di un ambiente digitale (White et al., 2015). Una particolare modalità di contatto è rappresentata dal paradigma dell’E-contact (White & Abu-Rayya, 2012; White et al., 2020), che permette un profondo coinvolgimento del sé nella relazione con persone appartenenti ad altri gruppi, sfruttando ambienti digitali cooperativi e orientati a uno scopo comune. La ricerca mostra che interventi di E-contact favoriscono atteggiamenti, emozioni e comportamenti positivi verso l’outgroup che superano gli effetti del contatto offline (Amichhai-Hamburger & McKenna, 2006), consentendo di stabilire relazioni armoniose e soddisfacenti tra i gruppi. Partendo da queste evidenze empiriche, è possibile ipotizzare che il metaverso favorisca l’implementazione di interventi finalizzati alla riduzione del pregiudizio che potrebbero superare i benefici già offerti dall’E-contact. La maggior parte degli studi condotti fino ad ora (si veda Tassinari et al., 2022 per una metanalisi), suggerisce che impersonare il corpo di un membro dell’outgroup attraverso un avatar, sfruttando i meccanismi cognitivi legati al processo di embodiment, riduca significativamente gli atteggiamenti negativi verso i membri di quel gruppo (Peck et al., 2013; Tong et al., 2017; Salmanowitz, 2018; Christofi et al., 2020; Chen et al., 2021; Chowdhury et al., 2021; Zhang et al., 2021). Risulta interessante verificare se la salienza dell’appartenenza ad un gruppo nel metaverso possa portare ad esiti simili a quelli del Proteus Effect (Yee & Bailenson, 2007) e, persino, estenderli alla qualità delle interazioni sociali nel mondo reale. Di conseguenza, è rilevante approfondire come l’intreccio di questi effetti possa avere conseguenze nel mondo offline, non soltanto a livello del sé individuale, ma anche ad un livello più ampio, quello sociale, estendendo in tal modo l’effetto Proteus anche alla sfera delle relazioni intergruppi. Infatti, è plausibile immaginare che, così come le caratteristiche dell’avatar possono essere trasferite al sé individuale nel mondo reale, la qualità delle interazioni sociali nel metaverso possa influenzare stabilmente anche le relazioni intergruppi nel mondo offline. La verifica di tale ipotesi porterebbe, quindi, ad un ampliamento della cornice del Proteus Effect da un livello strettamente individuale a un livello sociale, conducendo ad un modello teorico più completo, quello dell’Intergroup Proteus Effect. Gli universi digitali possono infrangere le barriere tra gruppi diversi nel mondo fisico e favorire il contatto tra individui di etnie, religioni e orientamenti sessuali differenti (Taylor et al., 2020; Peña et al., 2021). Inoltre, possono permettere di esplorare identità sociali multiple e intrecciare relazioni intergruppi più complesse rispetto al mondo offline. È importante capire gli effetti di questa complessità a livello individuale, interindividuale e intergruppi sia nel mondo digitale che in quello fisico. Se il contatto con outgroup virtuali può ridurre il pregiudizio anche nei confronti di outgroup reali, la realtà virtuale e il metaverso possono migliorare le relazioni intergruppi nel mondo offline attraverso le interazioni virtuali. Per rendere l’esperienza nel metaverso positiva, è imperativo non soltanto tenere conto degli effetti psicologici che derivano dal suo utilizzo, ma anche supportare attivamente la creazione di uno spazio digitale tridimensionale diversificato e inclusivo, nel rispetto dei diritti umani (Henz, 2022).

Glossario

Metaverso. Questo termine fa riferimento a un universo virtuale avanzato e immersivo, che si basa sulla realtà virtuale o aumentata. Si tratta di uno spazio virtuale tridimensionale in cui gli utenti possono non solo interagire con il mondo virtuale, ma anche con altri utenti presenti nello stesso ambiente.

Realtà virtuale. La realtà virtuale (speso indicata semplicemente con la sigla VR) è una tecnologia avanzata che crea un ambiente di simulazione tridimensionale, generato da un computer, che può essere esplorato dall’utente attraverso l’uso di appositi dispositivi tecnologici. Consente agli utenti di immergersi in un mondo simulato e di interagire con esso utilizzando il proprio corpo. Grazie a questa tecnologia, gli utenti possono avere esperienze coinvolgenti e realistiche, senza essere fisicamente presenti nel luogo che stanno esplorando.

Realtà aumentata. La realtà aumentata (spesso indicata semplicemente con la sigla AR) è una tecnologia che sovrappone elementi del mondo digitale, come ad esempio immagini o informazioni, a quello reale, utilizzando dispositivi tecnologici, come smartphone o occhiali smart. In pratica, la realtà aumentata offre una vista del mondo reale attraverso la quale gli oggetti o i luoghi reali sono arricchiti con contenuti digitali interattivi, come ad esempio icone, video, suoni, testo, o altri elementi grafici generati dal computer.

Avatar. Con questo termine si fa riferimento alla rappresentazione digitale di un utente in un ambiente virtuale o di gioco. Gli avatar possono essere graficamente dettagliati, e vengono utilizzati per rappresentare l’identità dell’utente all’interno dei giochi online o dei social network o come rappresentazione digitale di un individuo in ambienti di collaborazione e riunioni virtuali. Il termine deriva dal sanscrito e nella religione induista significa letteralmente “reincarnazione”.

Proteus effect. Il Proteus effect è un fenomeno psicologico che si verifica quando le caratteristiche del proprio avatar nel mondo virtuale influenzano la propria percezione del mondo reale. È stato descritto per la prima volta nel 2007 da Yee e Bailenson dell’Università di Stanford. Gli autori hanno scoperto che l’aspetto dell’avatar può influenzare il comportamento dell’utente online e offline. Ad esempio, se l’avatar ha un aspetto attraente e sicuro di sé, l’utente può assumere un comportamento più assertivo e sicuro di sé anche nella vita reale.

Embodiment. Questo termine fa riferimento all’esperienza sensoriale e percettiva rispetto al proprio corpo fisico. In relazione alla realtà virtuale, l’embodiment si riferisce al processo attraverso il quale il corpo virtuale, o avatar, viene incluso nella rappresentazione mentale che un utente ha del proprio corpo. Il termine sottolinea l’importanza dell’esperienza corporea nell’interazione con il mondo virtuale. La VR avanzata mira a fornire un’esperienza di embodiment sempre più realistica, permettendo agli utenti di sentire l’avatar come il proprio corpo.

Contact hypothesis. La Contact hypothesis, o ipotesi del contatto, è una teoria in ambito psicosociale sviluppata da Gordon Allport nel 1954 e fa riferimento alla possibilità di ridurre i pregiudizi e le tensioni intergruppi attraverso il contatto tra i membri dei gruppi stessi. Tale strategia è efficace quando si verificano alcune condizioni, come l’opportunità di interazione sulla base di uno scopo comune, la cooperazione, l’uguaglianza di status tra i gruppi, l’appoggio delle istituzioni e l’opportunità di conoscere informazioni personali sui membri degli altri gruppi. La teoria si è dimostrata efficace nel ridurre i pregiudizi e la discriminazione in molti contesti, tra cui ambienti scolastici, di lavoro e sociali, suggerendo che il contatto intergruppi può essere un efficace strumento per promuovere la comprensione reciproca e l’armonia tra i gruppi diversi.

E-contact. Con questo termine ci si riferisce all’interazione tra i membri dei gruppi attraverso le tecnologie della comunicazione, come ad esempio internet, i social network, chat, forum e videoconferenze. L’ E-contact (o contatto digitale) è a volte considerato una forma di contatto intergruppi virtuale basato tecnologie online. In particolare, le piattaforme di social network, come Facebook, sono state utilizzate per analizzare i vantaggi e gli svantaggi del contatto elettronico rispetto al contatto diretto secondo gli assunti proposti da Allport (1954).

Ingroup/Outgroup.  In psicologia sociale, il termine “ingroup” descrive il gruppo di appartenenza di un individuo, con il quale si identifica e del quale si sente membro. Il termine “outgroup” si riferisce a un gruppo sociale o a individui che sono percepiti come diversi o estranei rispetto al proprio gruppo di appartenenza. Secondo Tajfel (1981), la distinzione tra ingroup e outgroup può portare a fenomeni come il pregiudizio, la discriminazione e la stereotipizzazione. Questi processi possono essere basati su generalizzazioni errate, mancanza di conoscenza o paura dell'altro. L’outgroup può quindi essere percepito in modo negativo o come una minaccia per l'identità o il benessere del proprio gruppo di appartenenza.

Identificazione. In psicologia sociale, il processo di identificazione si riferisce al processo mediante il quale un individuo si percepisce come parte di un determinato gruppo sociale, sviluppando un senso di appartenenza e legame con esso. L’identificazione con un gruppo coinvolge la condivisione di valori, norme, obiettivi comuni e senso di appartenenza con gli altri membri del gruppo. Questo processo può avvenire attraverso l'assimilazione delle caratteristiche del gruppo, l'adozione dei comportamenti tipici del gruppo e l'integrazione dell'identità di gruppo nell'immagine di sé dell'individuo.  Tale processo può influenzare il modo in cui l'individuo si vede e si comporta all'interno del contesto sociale. Tuttavia, è importante notare che la salienza dell'identità sociale può variare in base al contesto e alle situazioni. Ad esempio, nel momento in cui una persona si trova allo stadio per una partita di calcio della squadra A contro la squadra B, probabilmente l’identificazione con il gruppo sociale “tifosi della squadra A” farà si che quella persona agisca aderendo alle norme tipiche di quel gruppo (ovvero tifare per la squadra A e avere atteggiamenti negativi verso i tifosi della squadra B). Nel momento in cui quella stessa persona si trova in ambito lavorativo, l’identità di “tifoso della squadra A” non sarà più così saliente, a favore di altre identità che dipendono dalla situazione e dal contesto sociale specifico (ad esempio, sarà maggiormente saliente l’identità di “dipendendone dell’azienda X”).

Depersonalizzazione. La definizione del processo di depersonalizzazione è strettamente collegata alla definizione di Identificazione. All’interno del quadro teorico della Teoria dell’Identità Sociale (TIS; Tajfel, 1978; Tajfel & Turner, 1979), la depersonalizzazione si riferisce al processo cognitivo grazie al quale gli individui riducono l'importanza del proprio sé individuale e si identificano maggiormente con il gruppo di appartenenza. Durante questo processo, le persone percepiscono sé stesse come rappresentanti del gruppo piuttosto che come individui unici, mettendo in risalto gli aspetti condivisi dell'identità sociale.

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